Era il 1966 quando Mauro Lusini scriveva di un ragazzo che amava i Beatles e i Rolling Stones. La canzone poi portata al successo da Gianni Morandi, esemplifica come a partire dagli anni ’60 la Gran Bretagna fosse divenuta il punto di riferimento musicale per quello che erano i giovani “alternativi” italiani.

Perché i musicisti british hanno goduto del vantaggio di poter esprimere appieno la propria creatività? Già allora la società d’Oltremanica, per quanto rigida, non era soffocata da dogmi politico-religiosi come invece era l’Italia della prima repubblica. Insomma, in passato l’Italia ha prodotto grandi talenti, eppure l’evoluzione della nostra musica è andata di pari passo con il lentissimo processo d’innovazione tipico della società italiana, caratterizzata da un immobilismo teso a favorire i poteri baronali.

Assistendo negli scorsi giorni ad un concerto presso un circolo della provincia di Parma, sono rimasto immediatamente colpito dal fatto che i tre gruppi in scaletta proponessero sonalità brit-pop e testi in inglese. Il giovane e brillante quartetto degli Ocean Cloud spiega come la musica inglese sia vera, mentre in Italia musicalmente si rischia poco. “La musica in Italia” mi dicono “è l’ennesima vittima del pessimo accoppiamento tra nostra cultura e “capitalismo democratico”, che produce solamente banalità e scontatezza. Proprio per questo suonare a Londra è come un sogno che si realizza per noi che siamo legati a BeatlesSmiths ed Oasis. Ed è particolarmente entusiasmante anche perché la cultura musicale inglese fa si che ci sia un approccio completamente diverso da parte del pubblico verso il gruppo che suona”.

Ma quali possibilità hanno queste giovani band italiane underground di sfondare nel mercato britannico? Claudia, che ha lavorato in un noto ufficio stampa del settore musicale, sostiene che “i gruppi italiani faticano ad aver successo all’estero innanzitutto a causa del fattore linguistico. Un ulteriore problema è dato dal fatto che in Italia vi sono poche possibilità per suonare e troppo si basa su conoscenze e favori. Inoltre, spesso si preferisce dare spazio a cover band piuttosto che a giovani gruppi che producono la propria musica. Infine, è innegabile che il mercato britannico nutra una certa diffidenza verso le band italiane”.

Essere diversi in Italia spesso significa essere emarginati. I giovani musicisti che non vogliono formare una tribute band o comunque limitare la propria creatività ad una riedizione formato ventunesimo secolo del classico pop italiano da Sanremo sono costretti a guardare al di là della Manica: nella sola Londra si svolgono circa 150 eventi musicali a settimana.

L’Italia è una società feudale fatta di privilegi, di immobilismo sociale. Un cocktail perfetto per costringere, musicisti e non, a fuggire dal nostro Paese.

di Federico Guerrieri, Master in International Relations alla Hult International Business School, Londra

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