Quando entravi nel suo ufficio, in Prefettura, avvertivi subito il clima di serenità. Carlo Mosca accoglieva i giornalisti col sorriso sulle labbra, il volto disteso e rassicurante anche nelle giornate più intense, la voce ferma ma pacata di chi ha ben chiaro cosa fare e cosa, soprattutto, non fare. Mai una parola di troppo, mai una frase fuori luogo. Un uomo dall’infinita esperienza che sa esprimersi con la chiarezza delle persone semplici. Con quella stessa chiarezza con cui si è opposto, senza mediazioni, alle disposizioni razziste di un Viminale in mano ai leghisti. Non a caso il nome del Prefetto Mosca è circolato nei giorni antecedenti alla formazione del governo Monti, quale possibile ministro dell’Interno. Al suo posto è stato preferito un altro Prefetto, Annamaria Cancellieri. E però Mosca al Viminale tornerà, come uno dei sei consiglieri – senza compenso – dell’ex collega.

Milanese, classe 1945, laureato in giurisprudenza e scienze politiche a Sassari e Napoli, ha un curriculum di tutto rispetto. Direttore dell’ufficio per il Coordinamento e la Pianificazione generale dei servizi di ordine e sicurezza, Segretario del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza, vice Direttore del Sisde, Capo di Gabinetto del Viminale. Solo per citare alcuni suoi incarichi. Ma è a Roma che Mosca ha lasciato un’impronta indelebile. Nominato Prefetto della Capitale il 20 luglio 2007, con Veltroni sindaco, ha sempre indirizzato il suo operato alla fermezza, ma anche alla solidarietà, alla sicurezza, ma anche alla diplomazia. Controllo, non stato di polizia, anche quando l’ordine pubblico è diventato terreno fertile per lo scontro elettorale. Letti col senno di poi, fanno sorridere gli auguri dell’allora presidente della federazione romana di An, Gianni Alemanno, il giorno dell’insediamento di Mosca.

Alemanno non sapeva che, di lì a un anno, il Prefetto sarebbe diventato il suo nemico numero uno nella battaglia contro l’inesistente “emergenza nomadi”. Mosca era consapevole che la percezione di insicurezza per le strade della capitale andava aumentando, e certo non la sottovalutava. Ma, anzichè reprimere, dialogava. Così fu in occasione del derby del 31 ottobre 2007, quando decise di far svolgere la gara alle 20. 30 e senza alcuna restrizione per le tifoserie, nonostante un clima non proprio pacifico. Uomo dello Stato, fino in fondo. Fino a condannare senza appello, ma con pacatezza, l’idea delle ronde: “Chi pensa di farsi giustizia da solo, è fuori dalla legge” dichiarò il 2 novembre dello stesso anno.

Ma è su stranieri e rom che il Prefetto ha giocato la sua battaglia più importante, quella che alla fine gli è costata la poltrona ma gli ha salvato l’anima. In linea più con Veltroni che con Alemanno, ma fermamente convinto che non esista sicurezza senza integrazione. E quindi gli sgomberi firmati a malincuore, quando non c’era la possibilità di garantire alle famiglie rom una sistemazione alternativa dignitosa. Tanto che una volta Mosca chiese anche al cardinal Ruini di mettere a disposizione le strutture della chiesa non occupate. Chi si aspettava un intervento massiccio sulle espulsioni, rimase deluso dalla sua azione “proporzionata”. Mosca sapeva bene che non ha senso parlare di “nomadi”, quando si tratta di persone stanziali da 40 anni. “La prima emergenza vera di Roma è la casa – spiegava –. Nel momento in cui si avviano percorsi per affrontare la questione abitativa, si evita la contrapposizione fra italiani e gli altri ritenuti diversi”. Casa, scuola, lavoro uguale integrazione. Anche perchè si parlava, all’epoca, di appena 15 mila persone.

Quando, il 31 maggio 2008, fu nominato da Alemanno commissario straordinario per l’emergenza rom, mise subito i primi paletti: sì al censimento, no a compiti di polizia. Non voleva gli sgomberi, Mosca, eppure il sindaco continuava a fargliene uno dietro l’altro. Ma soprattutto non voleva che i bambini rom diventassero criminali. La battaglia finale si è giocata su questo. Maroni e Alemanno da una parte, decisi a schedare con le impronte digitali anche i minori di 14 anni; il Prefetto dall’altra, intenzionato a fare solo una “ricognizione”, al limite attraverso le fotografie. Una frattura che si è consumata tra giugno e luglio del 2008 e che ha portato il Consiglio dei Ministri, il 13 novembre, a sostituire Mosca col Prefetto Pecoraro, più vicino alla linea del primo cittadino. “Ho fiducia nei tempi lunghi, nei tempi che danno ragione a chi opera nel giusto”, disse Mosca. Oggi, con il suo posto al Viminale, i tempi sembrano avergli dato ragione.

da Il Fatto Quotidiano del 27 dicembre 2011

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