Recentemente i bar/ristoranti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica (noti col più elegante nome di  buvette) hanno raggiunto le prime posizioni nella lista degli odiosi simboli dei privilegi della “casta”.

La buvette del Senato ha offerto la settimana scorsa un’utile lezione di economia. Come noto, in questi esclusivi ristoranti e’ possibile acquistare raffinati piatti a prezzi notevolmente inferiori ai prezzi di mercato. E’ stato calcolato che al Senato, fino a pochi giorni fa, lo sconto fosse nell’ordine dell’80-90% del prezzo. L’azienda appaltatrice del servizio di ristorazione (attualmente la Gemeaz Cusine Srl) intasca naturalmente il prezzo pieno, altrimenti non avrebbe convenienza ad offrire il servizio. La differenza è a carico del contribuente. Adesso che nel profondo della crisi italiana il contribuente viene spremuto dal fisco con un’intensità senza precedenti l’opinione pubblica ha più che mai il dente avvelenato: questo sussidio pubblico ai pasti dei già ben pagati parlamentari è  intollerabile. I senatori questori hanno udito il grido di vendetta e sono corsi ai ripari aumentando la quota del costo delle portate alla buvette a carico dei senatori (dal 10-20% a qualcosa come il 60-70%, pare), riducendo così il sussidio pubblico. La vicenda è stata raccontata da Sergio Rizzo sul Corriere della Sera.

Una volta ridotto il sussidio (e quindi ridotto un particolare costo della politica) sono successe tre cose. Primo, il ristorante del Senato si è semi-svuotato e i senatori rimasti hanno iniziato a consumare portate più economiche rinunciando a quelle diventate più costose. Secondo, la società appaltatrice ha iniziato a licenziare personale. Terzo, i clienti fuggiti sono migrati verso i concorrenti circostanti. Questi fatti insegnano una lezione da manuale di economia che è utile ripassare. Il primo è un effetto che gli economisti chiamano di “equilibrio parziale”. Come il nome suggerisce si tratta solo di parte della storia, e della parte meno interessante (tutti sanno che quando un aumenta il prezzo di un bene si consuma meno di questo bene, tanto meno quanto più esistono sostituti a miglior prezzo). Il secondo e il terzo effetto sono invece del tipo che gli economisti chiamano di “equilibrio generale”. Questi sono più difficili da cogliere.

Utilizzando un elementare diagramma di domanda e offerta dei pasti dei senatori, è facile vedere che l’utilizzo di un sussidio al pasto dei senatori induce un equilibrio in cui si domandano più pasti (tanti più quanto maggiore è il sussidio) di quanti se ne domanderebbero al prezzo di mercato. Questo fa si che l’azienda appaltatrice assuma più lavoratori di quanti ne assumerebbe in assenza del sussidio. Inoltre, il sussidio distorce la concorrenza con gli altri bar e ristoranti (quelli circostanti il Senato, plausibilmente). A questa inefficienza (c’è sempre un’inefficienza quando la concorrenza viene limitata) corrisponde un costo per i contribuenti: il Senato non è un’azienda privata che elargisce “fringe benefits” ai propri dipendenti nella forma di prezzi ridotto alla mensa aziendale , è un’istituzione che assorbe e utilizza risorse che provengono dalla tassazione.

Cosa succede quando il sussidio viene ridotto e, come in questo caso, i prezzi aumentano di 4 o 5 volte? Succede che i senatori con più bassa disponibilità a pagare (una cosa che dipende dalle preferenze e che e’ indipendente dal reddito) fuggono verso bar e ristoranti circostanti al Senato, riducendo così i pasti serviti alla buvette. La ditta appaltatrice, quindi, inizia a scrivere lettere di licenziamento. Tutto come da manuale, insomma. Eppure in questa vicenda c’è chi sragiona. Per esempio, i sindacati prima chiedono che lo stato dimagrisca (e con esso i senatori mangiando a prezzi più elevati) e poi si lamentano se questo dimagrimento conduce a licenziamenti.

La lezione è quindi la seguente: i sussidi, quando non correggono “esternalità”, distorcono la corretta allocazione delle risorse. I prezzi troppo bassi hanno generato domanda troppo alta per i beni e servizi prodotti dalla buvette e, corrispondentemente, occupazione sovradimensionata. E’ cioè possibile creare lavoro sussidiando particolari attività, ma il giorno che i sussidi scompaiono scompariranno anche quei posti di lavoro.

Il personale della buvette che ha ricevuto la lettera di licenziamento (cosa certamente spiacevole), insomma, non deve prendersela col cattivo mercato. Deve prendersela con la cattiva politica che ha creato posti di lavoro sussidiando i pasti dei senatori. Adesso ci vuole tempo per cercare un nuovo lavoro. Senza sussidio non ci sarebbe oggi questa spiacevole riallocazione per queste persone e per le loro famiglie.

Ricordiamocene quando si taglieranno gli svariati miliardi di euro di sussidi pubblici di cui godono innumerevoli imprese pubbliche e private in Italia (incolperemo il cattivo mercato o la cattiva politica dei sussidi?). Ricordiamocene anche quando qualcuno dirà che per risollevare l’Italia ci vuole una nuova, grande, politica industriale.
Fosse stato per il cattivo mercato, i contribuenti non avrebbero offerto l’80-90% del costo del pasto ai senatori e i lavoratori che perdono il posto oggi avrebbero un altro lavoro, quello che adesso devono cercare.

Dove lo andranno a cercare? Una buona idea è iniziare a cercare dietro l’angolo. C’e’ infatti un ultimo effetto di equilibrio generale. Come detto, i senatori fuggiti dalla buvette sono migrati verso bar e ristoranti circostanti al Senato. Se questi si aspettano un aumento di domanda permanente, allora potrebbero presto appendere in vetrina un cartello con su scritto “cercasi personale”.

Quando al mercato ci vendono una maglietta a 3 euro noi pensiamo: “Dove sta la sòla?” Cosa doveva pensare un senatore quando gli facevano pagare un risotto con rombo e fiori di zucca a 3,34 euro?

di Giulio Zanella e Giovanni Prarolo

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