A questo punto il timore diventa concreto e gli indizi, in tal senso, iniziano a evidenziarsi con sempre maggiore frequenza. Impegnata a percorrere la lunga e tortuosa strada verso la normalizzazione dei suoi conti pubblici, la Grecia rischia di veder naufragare il suo piano di ristrutturazione debitoria sotto i colpi del malcontento dei suoi creditori e del realismo contabile delle grandi istituzioni internazionali. A mettersi di mezzo, da ultimo, è stato il Fondo monetario internazionale, decisamente poco convinto, a quanto pare, della sostenibilità del piano ellenico. Il Fmi, segnala oggi Bloomberg citando fonti vicine alle trattative, starebbe cercando vanamente di convincere i creditori di Atene ad accettare un concambio più sfavorevole del previsto per alleggerire il peso del deficit statale. Un’impresa particolarmente ardua visto il crescente malumore percepito presso gli investitori privati che, è opportuno ricordarlo, restano detentori di titoli greci per oltre 200 miliardi di euro.

L’idea, spiega Bloomberg, è quella di ridurre gli interessi annuali sulle nuove obbligazioni che Atene è pronta ad emettere in cambio del ritiro dei vecchi titoli ormai tecnicamente in default. Il taglio proposto sarebbe caricato su 70 miliardi di euro di nuove emissioni con un coupon del 5 per cento determinando un haircut complessivo sul titolo pari al 65 per cento del valore. L’obiettivo, ovviamente, è il rispetto del programma di riduzione delle pendenze che mira a riportare il debito di Atene a quota 120 per cento del Pil entro il 2020.

La proposta si inserisce in un contesto particolarmente difficile, con creditori e negoziatori sempre più ai ferri corti. In seguito agli accordi di salvataggio con l’Ue, Atene è ora chiamata a imporre pesanti perdite ai titolari delle sue obbligazioni. Il piano originario prevede che i detentori dei bond approvino una svalutazione del 50 per cento sul valore dei titoli. Un sacrificio, ha stimato nei mesi scorsi il Wall Street Journal, che costerebbe 1,4 miliardi di euro alle banche francesi e circa 9 a quelle greche (alle banche italiane l’operazione farebbe perdere poco più di 200 milioni). Ma le cifre, al momento, rischiano di essere troppo ottimistiche.

A temerlo, tra gli altri, sono i gestori del fondo spagnolo Vega che, ha riferito la stessa Bloomberg, sarebbero pronti a fare causa ai negoziatori se questi ultimi decidessero di imporre perdite superiori a quelle preventivate. Una mossa che segue il recente ritiro dal tavolo dei negoziati da parte dello stesso fondo di Madrid, ormai chiaramente sul piede di guerra con Atene. La scelta di Vega rischia ora di ispirare altri creditori riducendo così le speranze di un largo consenso sul concambio stesso. Non molto tempo fa, il ministro delle finanze greco Evangelos Venizelos si era apertamente posto l’obiettivo ottenere l’ok alla ristrutturazione dal 90 per cento dei creditori. La scorsa settimana alcune fonti interpellate da Dow Jones (il network del Wall Street Journal) avevano giudicato il traguardo “difficile da raggiungere”.

Tale giudizio faceva ovviamente riferimento al piano originario che prevedeva il dimezzamento del valore effettivo dei titoli. Figuriamoci, verrebbe ora da chiedersi, quanto potrebbe ridursi il consenso dei creditori di fronte all’ipotesi di un concambio ancor più sfavorevole. “Per rendere il debito sostenibile serve un haircut più profondo, pari al 75 per cento o più. Ed è meglio che questo avvenga tutto in una volta, invece che a rate imponendo il 50 per cento oggi e un taglio ulteriore in seguito” sosteneva in una recente intervista al fattoquotidiano.it il docente della Leonard Stern School of Business di New York ed ex consulente del governo ellenico Nicholas Economides. Qualche tempo prima, il capo economista di Citibank Willem Buiter era andato addirittura oltre, ipotizzando la necessità di un taglio complessivo pari all’85 per cento del valore dei bond sovrani.

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