A Cernivci volevo andare con l’autobus delle badanti che parte da Milano e arriva in due giorni di viaggio. Ma poi scopro che la Malev ha un volo per Iasi (Romania, 225 km da Cernivci), e la faccenda si presenta meno impegnativa. Scopo del viaggio è vedere la città da dove vengono molte badanti comprese quelle che si sono succedute nell’assistenza di mia nonna – entrate come turiste, rimaste come clandestine per un paio d’anni e regolarizzate con le sanatorie, l’ultima in articulo mortis – ma anche la città di cui parla Gregor von Rezzori in vari libri, in particolare “Un ermellino a Cernopol” (Guanda).

Von Rezzori e mia nonna hanno una sola cosa in comune: la data di nascita, il ‘14. Per il resto non credo che il dandy che seduceva le compagne di rifugio sotto le bombe a Berlino abbia avuto badanti di Cernivci: quand’è morto nel ‘98 l’emigrazione era solo agli inizi, ma sarebbe stato un bello scherzo del destino. Come racconta in Tracce sulla neve, mise piede a Cernivci l’ultima volta nell’89, quando faceva parte dell’Urss e si chiamava Cernovci in russo. Tra le due guerre prese il nome di Cernauti e fu annessa alla Romania. E prima ancora Czernowitz, capitale della Bukovina, fantasiosa propaggine asburgica donata a Vienna dagli ottomani per l’impegno nella guerra russo-turca. Un casino storico che gli fornì materia per scrivere e farsi largo nella società letteraria tedesca prima di ritirarsi in una torre in Toscana con la baronessa Beatrice Monti che ora anima un premio letterario dedicato al marito. Oltre a lui l’emigrazione d’antan da Cernivci annovera Paul Antschel, in arte Paul Celan, morto suicida a Parigi nel ‘70 e autore di poesie come Fuga di morte, uno dei pochi che ha saputo fare versi sulla Shoà e ha vissuto la contraddizione d’essere ebreo, perdere la madre nel lager, scrivere in tedesco e pubblicare in Germania con successo. E pure Roman Vlad, 93enne compositore rumeno, emigrato in Italia nel ‘38, che ha da poco dato allo stampe il racconto autobiografico “Vivere la musica” (Einaudi).

Da Iasi a Cernivci non esiste collegamento diretto. Devo prendere un furgone trasformato in autobus e cambiare a Suceava attraversando una campagna dalla terra nera tra carretti trainati da cavalli. Mezzo di trasporto tornato in voga. La biada costa meno della benzina. A Suceava prendo un vecchio torpedone Ikarus: scritte in russo, tende di velluto, sedili stinti, vetri sporchi: una macchina del tempo che riporta al periodo comunista. Entrando in Ucraina spuntano ville in stile Disneyland, costruite, mi dicono, con le rimesse degli emigrati. Non le badanti ma quelli che hanno fatto fortuna negli Usa. Von Rezzori forse l’avrebbe capito: è stato lui a individuare nel kitsch l’essenza americana, si veda “Uno straniero nella terra di Lolita”.

A Cernivci dovrei dormire da Ljuba Zinevich, conosciuta su couchsurfing.com, sito di scambio ospitalità che non trascura nessuna parte del mondo. Abita nel quartiere Graviton ma quando trovo il palazzo suono inutilmente. Me ne torno in centro seguito da un tizio con fiato alcolico che mi racconta la storia della città, mostrandomi una via di casette del periodo rumeno, una piazza dove stanno ristrutturando l’hammam col contributo della Turchia e spiega che il quartiere Graviton si chiama così perché Mosca aveva costruito qui una fabbrica aerospaziale. Il centro ha una grazia asburgica, dalla farmacie ai tombini con scritto Czernowitz passando per l’Opera, ma ci sono influenze d’ogni tipo come testimonia la cattedrale armena, la chiesa greco-cattolica e l’imponente e delirante palazzo del Metropolita, oggi sede dell’università e progettato dal boemo Josef Hlavka. È stata distrutta la sinagoga. La comunità ebrea contava 28mila persone nel 1910, un terzo della popolazione. Tra nazismo e comunismo il minestrone multietnico si è semplificato nella predominanza del tipo ucraino che prima, scrive Von Rezzori, rappresentava il solo 30 per cento. In una via di abitazioni abbandonate dagli ebrei c’è un Internet point. Entro e finisco in mezzo a un compleanno. Si socializza col cognac della Crimea e finisco a cena dai proprietari, due fratelli, uno dei quali è il festeggiato. L’appartamento è nel quartiere Graviton, manco a dirlo. Il padre mi racconta che lavorava nell’esercito, ha vissuto in Germania Est e spiato l’Ovest. Nessuno di loro ha sentito nominare Von Rezzori ma ci sono diverse badanti in Italia nella parentela. Verso le due, dopo essersi trangugiati una bevanda tipo Red Bull davanti alla statua del poeta rumeno Eminescu, prima di entrare all’Hard Rock Cafe i due fratelli mi lasciano all’hotel Bukovina, enorme falansterio comunista. In molte famiglie le madri sono lontane e la notte si fa bisboccia. Ricordo tristi telefonate delle badanti ai figli; per anni (fino all’ottenimento del permesso di soggiorno) non potevano tornare e vederli. La loro durezza di donne postsovietiche si stemperava al telefono.

Quando riparto per Iasi, il torpedone viene fermato a lungo alla frontiera con la Romania, dove comincia l’Ue e una volta finiva l’Urss. I passeggeri ucraini sono anziani e tentano di fare contrabbando di detersivo e altri generi. Un vecchietto mi affida una stecca di sigarette dandomi qualche moneta per il servizio. Se lo respingeranno, dice, devo consegnare la stecca a qualcuno degli altri passeggeri rimasti a bordo e farmi una birra alla sua salute. Pochi scampano ai controlli. Restiamo a bordo quasi solo io e l’autista. Si chiama Karlampi, nome d’origine greca: vuol dire luce gioiosa. La moglie fa la badante a Milano.

Saturno, 16 dicembre 2011

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