All Tomorrow’s Parties. Risuona ancora la voce teutonica e spigolosa di Nico mentre faceva veleggiare i Velvet Underground ad un livello di commerciabilità  che non hanno mai amato.

Titolo recuperato e riutilizzato dalla galleria Ono Arte Contemporanea chededica, fino al 18 gennaio in via Santa Margherita 10 a Bologna, una mostra fotografica al grande artista Andy Warhol, per celebrarne il lato meno mondano e per certi versi privato, lontano anni luce dai quindici minuti di popolarità offerti in pasto nel 1968 al pubblico mondiale.

La narrazione, ricostruita dalle fotografie di Adam Ritchie, di David McCabe, di Anton Perich e di Fred McDarrah, il documentarista ufficiale dell’espressionismo astratto e dell’avanguardia del periodo, ritrae con intima precisione quel volto umano nascosto dietro alla maschera che la storia ricorda, e che le opere d’arte testimoniano.

Andy Warhol era un filantropo, un mecenate, come Lorenzo il Magnifico amava circondarsi nella sua Factory delle personalità più eccentriche e affascinanti della metropoli americana, ma allo stesso tempo prendeva soggetti che a lui apparivano interessanti e li trasformava in piccoli fenomeni di successo. Come le Supertstar, come i Velvet Underground, uno dei massimi complessi rock di tutti i tempi, la band che ribaltò i canoni musicali dell’epoca con una violenza che in principio li rese quasi sgraditi al panorama artistico della grande mela.

Musicisti ascoltati per caso da Warhol a un concerto e divenuti uno dei suoi esperimenti di maggiore importanza, volti trasgressivi che nelle loro canzoni cantavano della vita a New York negli anni sessanta, della droga, della prostituzione, con un realismo disarmante, sgradevole nel suono e visionario nei testi.

Ma che appassionò Warhol a tal punto che l’artista li prese all’interno di quel circolo esclusivo che era la Factory e li lanciò nel panorama newyorchese con la cantante tedesca Nico. La loro collaborazione durò appena un album ma quelle undici canzoni furono in grado di scuotere le fondamenta musicali degli anni sessanta, spianando la strada al successivo rock, al punk, e a tutto quel mondo opposto alle sonorità inglesi dei Beatles, che al tempo parlavano ai popoli di pace e d’amore.

La mostra “All Tomorrow’s Parties” , incentrata proprio negli anni della collaborazione con i Velvet, fino alla separazione di Lou Reed dalla band, è quindi “uno sguardo intimo in un aspetto un po’ trascurato del lavoro di Andy Warhol” spiega Maurizio Guidoni della Ono. “Una ricerca che abbiamo voluto fare non tanto attraverso i suoi lavori o le sue parole, ma piuttosto attraverso i documenti fotografici di amici, artisti e personaggi di varia natura che attorno a Andy orbitavano e si nutrivano in quella che divenne l’epicentro della New York anni sessanta, la Silver Factory al quinto piano del 231 East 47th Street”.

Accanto alle fotografie, a raccontare il microuniverso di quell’affascinante luogo rivestito in alluminio, da cui il nome Silver, saranno proiettati anche due video inediti di Anton Perich, girati negli anni 70’, dove compaiono, tra gli altri, un giovane David Bowie e il grande Bob Dylan, uno dei personaggi che partecipò ai famosi Screen Test. Perché la storia raccontata alla Ono rivela molto di quel grande sperimentatore che era Warhol, a tratti psicologico, a tratti quasi scientifico.

Le immagini prese dagli oltre cinquecento rulli, girati con una telecamera fissa sul volto del soggetto a riprenderne le reazioni, immortalano momenti di una delle tante peculiarità dell’artista e un aspetto fondamentale della sua produzione cinematografica. “Trovo il montaggio troppo stancante” raccontava Andy “lascio che la camera funzioni finché la pellicola finisce, così posso guardare le persone come sono veramente”. Azioni banali che acquistavano un forte significato e che lo aiutavano a scoprire i personaggi che lo frequentavano, giungendo al contempo a colpirli e a farli riflettere.

“Il risultato che si ottiene” racconta Vittoria Mainoldi illustrando le fotografie, tutte autentiche “non è comunque del tutto originale ed epurato dal filtro di Warhol. Ad esempio gli scatti, in apparenza intimi e quotidiani di McCabe, fanno in realtà parte di un progetto assegnatogli dallo stesso Andy, quello cioè di documentare la sua vita in ogni singola parte durante tutto il 1964 e il 1965”. Foto, rimaste poi inedite fino al 2000, che raccontano un altro tratto del Warhol uomo, manageriale in ogni aspetto, con un controllo dell’immagine e di quel micro universo estremo e molto accurato.

La mostra, che sarà inaugurata giovedì 15 dicembre, mescola opere, scatti, video e materiali cartacei inediti in un reportage del tutto nuovo e interessante, un viaggio adatto anche a chi del genio di Warhol conosce solo gli aspetti più famosi.

di Annalisa Dall’Oca e Davide Turrini

Articolo Precedente

Il matrimonio tra coop rosse e Cl, in nome della crisi

next
Articolo Successivo

La crisi spazza via il modello Emilia Romagna: “Disoccupati e cassa integrazione mai così alti”

next