Per far fronte alla crisi finanziaria italiana, tra le molte proposte recenti c’è anche quella di vendere una serie di attività che per loro natura potrebbero essere affidate a soggetti privati. Tra queste sono state citate le Ferrovie dello Stato, recentemente auto-nominatesi Ferrovie Italiane, per ragioni forse di amor di patria, o più verosimilmente per ribadire, contro pericolose derive concorrenziali, il proprio ruolo di aspirante “campione nazionale”.

Vediamo un po’ il quadro economico della situazione: le Fs sono costate nel ventennio scorso in media 6 miliardi all’anno ai contribuenti; trasportano circa il 10% delle merci e dei passeggeri italiani, ma fanno solo circa il 3% del fatturato del settore dei trasporti terrestri, a riprova della scarsa disponibilità complessiva degli utenti a pagare per i servizi ferroviari. Cioè le Fs hanno, per il sistema economico nazionale, un ruolo economico oggettivamente marginale, ma certo non così per le esangui casse pubbliche.

Occorre da subito una premessa: la rete ferroviaria è un “monopolio naturale”, che non può essere esposto alla concorrenza, per cui al massimo si può parlare di regolazione efficiente. La radicale privatizzazione inglese, infatti, per l’infrastruttura ha funzionato male, e l’esempio statunitense di binari privati sembra difficilmente importabile in Europa.

Per i servizi ferroviari non è buona cosa privatizzare un soggetto sostanzialmente monopolistico come Trenitalia (la parte di Fs che fa andare i treni, e che fa il 90% del fatturato del settore ferroviario), prima di avere un ragionevole livello di concorrenza. Si rischia di avere un monopolista privato invece di uno pubblico. Occorrerebbe allora privatizzare separatamente i servizi passeggeri di lunga distanza (liberalizzati solo in piccola parte), quelli locali (totalmente monopolistici), e quelli merci (già in qualche modo liberalizzati).

Lo Stato  – cioè i contribuenti – potrebbe guadagnare da questa operazione (regolazione indipendente dell’infrastruttura e privatizzazione dei servizi in un contesto competitivo)? Da una regolazione “efficientante”, certamente avrebbe minori costi per l’infrastruttura, mentre attualmente paga due terzi dei costi di esercizio e il 100% dei costi di investimento. Minori costi pubblici vi sarebbero anche per i servizi locali messi in gara: sussidi ridotti, a parità di servizi e tariffe, mentre attualmente i contribuenti, tramite le Regioni, pagano due terzi dei costi di questi servizi.

Per quanto riguarda i servizi passeggeri di lunga distanza, arriverebbero subito moltissimi soldi dalla vendita di quelli di Alta Velocità. Degli altri, quelli con qualche giustificazione sociale, dovranno essere messi in gara, mentre quelli privi di tali giustificazioni dovrebbero essere soppressi, o sostituiti con altri modi di trasporto meno costosi per lo stato.

Dalla vendita dei servizi merci di Trenitalia, che perdono un sacco di soldi, ci si può aspettare invece solo vantaggi ambientali, nel senso che un gestore privato forse riuscirà a portar via più camion dalle strade, grazie a una maggiore efficienza.

I risultati che ci si possono aspettare dunque sono tutt’altro che trascurabili da un punto di vista di ritorni finanziari diretti. Ma ancor maggiori sono i risultati che si otterrebbero in termini di incentivi all’innovazione, e di allentamento delle interferenze politiche più improprie, che hanno molto contribuito all’inefficienza del settore: si pensi, per esempio, al caso degli extracosti “politici” degli investimenti per l’Alta Velocità, uno scandalo nazionale.

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