Con la sentenza pronunciata il 6 dicembre 2011, la Grande Sezione della Corte di Giustizia Ue si è pronunciata sulla questione sollevata dalla Corte di Appello di Parigi circa la compatibilità della normativa francese sui rimpatri con la direttiva 2008/115/Ce (meglio nota come “direttiva rimpatri”), dichiarando l’incompatibilità dell’art. L. 621-1 del Codice francese dell’ingresso e del soggiorno degli stranieri e del diritto d’asilo con la sopramenzionata direttiva.

La legge francese, infatti, prevede attualmente la pena di un anno di reclusione a carico dello straniero che sia entrato o soggiorni illegalmente in Francia e i giudici parigini hanno giustamente ipotizzato un conflitto tra questa legge e la direttiva europea che tende a considerare la sanzione penale e la detenzione nei confronti degli immigrati irregolari come una extrema ratio.

Tuttavia, non si può non rilevare l’ambiguità di fondo della decisione della Corte di Giustizia, ambiguità derivata direttamente dall’impianto opaco della direttiva stessa. La Corte, infatti, ha ribadito che la direttiva europea “non vieta che il diritto di uno Stato membro qualifichi il soggiorno irregolare alla stregua di un reato e preveda sanzioni penali per scoraggiare e reprimere la commissione di siffatta infrazione“, ma ha poi subito aggiunto che gli Stati membri “non possono applicare una normativa penale tale da compromettere la realizzazione degli obiettivi perseguiti da tale direttiva e da privare così quest’ultima del suo effetto utile”.

Più che una decisione chiarificatrice degli obblighi degli Stati membri (in questo specifico caso si tratta della sola Francia) in merito alla condizione giuridica e al trattamento sanzionatorio dello straniero espellendo, si tratta dell’ennesimo sforzo equilibrista della Corte di Giustizia che – così come era successo com la sentenza riguardante il caso italiano – tenta di bilanciare diritti individuali e interessi statuali (specie in un momento storico in cui ogni istituzione europea si sta sfasciando sotto i colpi impietosi della guida Bce e Merkozy). Ciò che sostanzialmente la Corte si limita a fare è di raccomandare “moderazione” nel trattamento sanzionatorio dei “clandestini”.

Con questo, non intendo sottovalutare la portata e, soprattutto, il significato politico della sentenza, specie in un momento come questo. Tuttavia, occorre anche ribadire che nella vita degli stranieri in Francia (come in Italia e in altri paesi europei) poco o nulla cambierà, posto che le detenzioni per loro sono multilevel: penali e amministrative. Uno straniero può anche passare una vita intera (come fosse un ergastolano) tra un Centre de Retention Administrative e una Zone d’attente, senza che nessun giudice lo trovi scandalosamente illegale, oltre che disumano.

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