Mentre milioni di egiziani tra ieri e oggi sono tornati ai seggi per il ballottaggio in nove governatorati che il 28 novembre hanno dato l’avvio alle prime elezioni libere parlamentari del dopo Mubarak, qualcuno ha già perso la speranza di vedere un Egitto libero da dittature militari e religiose. Seduto in un pub del Cairo, dove oltre al tè si può bere una bottiglia di Stella, la birra locale, Abdu, un uomo di 35 anni, bofonchia “Too many long beards, troppe barbe lunghe, too many, troppe”. Le barbe lunghe, come le chiama Abdu, sono gli islamisti, “i salafiti, per essere precisi”.

La prima tornata delle elezioni che si è conclusa martedì scorso per diverse ragioni ha sorpreso molti, esperti e persone comuni. Innanzitutto, l’alta affluenza che ieri in conferenza stampa la Commissione per le elezioni ha dichiarato essere “52 per cento e non 62” come aveva detto la settimana passata. Si tratta in ogni caso di una cifra considerevole, se non altro pensando che nelle ultime votazioni la partecipazione al voto era stata del 20%. L’altra grande sorpresa riguarda il partito ultra-conservatore Al-Nour, che significa la luce, dei Salafiti. Nonostante “Libertà e Giustizia”, il braccio politico dei Fratelli Musulmani abbia guadagnato la percentuale più alta (36.6%) , i Salafiti hanno fatto un pericoloso balzo in avanti ottenendo il 24.4% dei voti. Il terzo posto se l’è aggiudicato il Blocco egiziano, un’alleanza laica che comprende anche il Partito Socialista egiziano. In questi due giorni in cui si tengono i ballottaggi la battaglia è dunque all’interno del blocco politico islamista. Il risultato ha chiaramente innervosito Israele e mette a rischio il trattato di pace del 1979 tra i due Paesi.

“Ci auguriamo che il nuovo governo egiziano riconosca l’importanza di mantenere il trattato di pace con Israele come garanzia di sicurezza in tutta la regione e di stabilità economica”, ha dichiarato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu domenica, quando sono stati resi ufficiali i dati delle elezioni. Ma quello che in questo momento preoccupa di più le persone come Abdu o le centinaia di ragazzi che ancora occupano piazza Tahrir sono i Salafiti, neofiti nella scena politica egiziana guidati da leader religiosi come Sheik Abdel Moneim el-Shahat che portano la barba lunga in onore al Profeta Maometto. “Ma non significa che sei hai la barba lunga sei un salafita!” puntualizza Abdu. Giusto. Le diversità sono infatti altrove. “La cittadinanza sarà ristretta dalla sharia islamica; la libertà sarà limitata dalla sharia islamica; l’equanimità sarà limitata dalla sharia islamica. La Sharia è obbligatoria” dichiarò el-Shahat durante un dibattito politico in campagna elettorale un mese fa. Sull’onda di questa quasi-vittoria, i giovani Salafiti hanno voluto rispondere ad alcune domande su Twitter e Facebook. I temi erano tre, la questione dei cristiani copti, quella delle donne e il turismo. Per quanto riguarda i rapporti tra musulmani e cristiani, i giovani salafiti hanno scritto che l’Islam apprezza i copti ma che “questo apprezzamento nasce e rimane sotto la legge islamica della Sharia”. Sul turismo sono stati più chiari “accetteremo un turismo terapeutico e/o religioso di cui noi stessi potremo beneficiare” e hanno poi aggiunto “perché trasformare il nostro Paese in una pattumiera per la sporcizia portata dall’Occidente?”. Quanto alla questione delle donne hanno spiegato che “le donne non devono intraprendere lavori troppo difficili e che le loro professioni devono essere in accordo con la Sharia”. Abdu ha già buttato la spugna e non è andato a votare ai ballottaggi, “è inutile” dice. Ma molti ci credono ancora, anche se le file ai seggi non sono interminabili come quelle della scorsa settimana. Dopo questi primi ballottaggi, altri nove governatorati egiziani si preparano al voto del 14 e del 15 dicembre. E così fino alla fine di marzo dell’anno prossimo.

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