All’indomani della presentazione della manovra da 30 miliardi, dall’Ateneo di Bologna parte l’appello per salvare il sistema universitario e i suoi attori. Il Conpass, coordinamento nazionale di professori associati, ha inviato una lettera aperta al ministro dell’Istruzione Francesco Profumo e a Mario Monti, in qualità di ministro dell’Economia ad interim, perché rivedano le misure previste per il mondo accademico. In particolare quelle riguardanti il blocco degli scatti d’anzianità che andrebbero a penalizzare soprattutto i giovani docenti.

L’attuale situazione economica richiede sacrifici a tutti i cittadini.

Non ci si vuole esimere neppure in parte dal dare il contributo al risanamento dei conti, pur osservando di essere categoria che in nessun modo ha contribuito a deteriorarli. Si constata e contesta, tuttavia, l’intento punitivo e persecutorio contenuto nei provvedimenti legislativi che ci riguardano e che non hanno pari con quelli di nessuna altra categoria. Non stiamo evidenziando l’esosità del contributo, ma stigmatizziamo le modalità con cui esso è stato richiesto, gli effetti abnormi che crea e – soprattutto – gli aspetti di forte iniquità e di forte regressività che produce.

Operazioni di tagli, talvolta indiscriminati, sono stati già compiuti dai governi precedenti ai danni del sistema universitario statale e dei suoi attori. Nello specifico assume una connotazione di forte discriminazione il blocco definitivo per tre anni della progressione di carriera dei docenti universitari derivante dalla applicazione dell’art. 9 comma 21 del d.l. n. 78 del 31 maggio 2010, convertito nella legge n. 122 del 30 luglio 2010, il quale, come è noto, prevede che «per le categorie di personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti».

Non è questa la sede per dare una compiuta dimostrazione tecnica, per altro già dispiegata avanti alcuni TAR, dell’irrazionalità, iniquità, incostituzionalità della disposizione, che presenta ampi aspetti regressivi nell’imporre sacrifici inversamente proporzionali alla misura dello stipendio dei docenti universitari a cui il blocco cui accede.

Appare tuttavia necessario evidenziare che il suddetto effetto regressivo si acuisce con il mancato recupero dell’anzianità, verificandosi il trascinamento del blocco fino al pensionamento e poi sul trattamento pensionistico. Esso sarà maggiore per i più giovani con redditi più bassi e minore mano mano che si sale nella scala stipendiale e di anzianità. Il contributo complessivo dei neo assunti sarà perciò dieci volte maggiore del professore a fine carriera. In ispecie con il sistema pensionistico contributivo questo meccanismo ingiusto e regressivo si amplifica con riferimento alla determinazione del montante contributivo individuale e perciò continuerà anche con il trattamento di quiescenza.

Inoltre, la palese illegittimità del mancato recupero dell’anzianità congelata con il primo scatto successivo al blocco medesimo, fermo restando l’effetto di perdere la corresponsione della retribuzione per la classe o scatto, cioè l’indiscusso contributo del singolo al bene del Paese, viola il principio dell’infrazionabilità e insospendibilità dell’anzianità in presenza della prestazione lavorativa. Detto mancato recupero ha anch’esso ulteriore effetto regressivo, dunque irrazionale, dunque in violazione dell’art. 3 della Costituzione, in quanto incide maggiormente sui giovani, che mai più potranno recuperare, piuttosto che sugli anziani, pensionandi, rispetto ai quali l’effetto è minimo impatto.

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