È morto lunedì sera a Sellia Marina (Catanzaro), il più grande documentarista italiano, Vittorio De Seta. Scomparso esattamente un anno dopo Mario Monicelli, aveva 88 anni e una filmografia efficacemente aperta alla finzione: da Banditi a Orgosolo del ’ 61, autoprodotto con troupe risicata, alle Lettere dal Sahara di un migrante africano (2006). Fu però nel ’73 una mini-serie tv per la Rai, Diario di un maestro, che metteva il dito nelle piaghe dell’istruzione in una borgata romana, a consacrare il regista, nato il 15 ottobre 1923 a Palermo da famiglia aristocratica.

De Seta non abbandonò mai il Sud, ma il suo fu un amore critico: colpe e miserie non erano destinate a finire in fuoricampo, fosse la vita amara del proletariato e dei pescatori siculi o il lavoro spietato dei minatori di zolfo nisseni e dei pastori della Barbagia. Tutti ritratti con umanissimo realismo e ferocia per la verità in lavori indelebili, quali Isola di fuoco, ambientato nelle Eolie e miglior documentario a Cannes 1955, I dimenticati (’ 59) e In Calabria (1993), dedicato alla terra della madre.

Dopo Banditi a Orgosolo, premio Opera prima a Venezia, nel ‘ 66 realizzò Un uomo a metà, quindi L’invitata, girato in Francia con Michel Piccoli e lodato da Moravia e Pasolini. Valorose incursioni nella finzione, ma ai documentari (per la tv) De Seta sarebbe tornato negli anni ’ 80, guadagnandosi tributi (Moma, Tribeca), retrospettive (Museo del Cinema di Torino) e il doc Detour de Seta di Salvo Cuccia.

A ricordarlo mercoledì è stato anche il festival di Torino diretto da Gianni Amelio, con la proiezione speciale di Diario di un maestro, all’epoca fautore di dibattito sul nostro sistema scolastico. Non è un omaggio di circostanza: dai Bechis (Il sorriso del capo) ai Segre (Sic Fiat Italia) in cartellone al 29° Tff, il documentario tricolore deve tantissimo a Vittorio De Seta. Anche Rai Storia l’ha omaggiato mandando in onda i quattro episodi de La Sicilia rivisitata.

Il Fatto Quotidiano, 30 novembre 2011

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