Il Regno Unito si prepara al più grande sciopero di massa dal 1979 a oggi. Domani, il 90% delle scuole non aprirà, i controlli alle frontiere andranno a rilento, il personale aeroportuale incrocerà le braccia, così come gli autisti degli autobus, i dipendenti ministeriali e delle amministrazioni locali. Anche la sanità ne risentirà: saranno garantite solo le urgenze, le dialisi e le chemioterapie. Nodo del contendere, la contestata riforma delle pensioni che il governo di David Cameron vuole portare avanti per risanare le finanze pubbliche. E, proprio nel giorno in cui il ministro dell’Economia parla di un «buco nero nel bilancio del Regno», i principali sindacati britannici confermano lo sciopero di domani. Almeno tre milioni di dipendenti pubblici non andranno al lavoro.

La riforma, in effetti, è stata definita da «macelleria sociale». Se dovesse andare in porto, la contribuzione alla propria pensione salirà da qui a due anni del 50%, passando dal 6,4 al 9,6% su base mensile. Inoltre, l’assegno pensionistico sarà legato alla media degli stipendi della propria carriera lavorativa e non più alle ultime buste paga. L’età per il pensionamento salirà a 66 anni entro il 2020 e ulteriori fardelli sono previsti per le pensioni d’oro. Ma il consenso sociale allo sciopero, questa volta, pare essere molto basso. Il Regno Unito è il Paese delle alte pensioni pubbliche e delle magre pensioni private. Quella che viene chiamata “invidia sociale” è sempre più accentuata e così un sondaggio di YouGov ha rivelato che oltre il 50% dei britannici, questa volta, non appoggia la mobilitazione.

I sindacati, tuttavia, gongolano. Le iscrizioni alle sigle sono aumentate di oltre il 100% da quando è stato annunciato lo sciopero. Con il sindacato Unison che ha visto crescere le richieste del 126%. E anche la portata generale dello stop è oggetto del contendere. Secondo i tabloid come il Daily Mirror, quello di domani sarà il più grande sciopero dal 1926 a oggi. Una mobilitazione che supererà quindi anche quelle contro la Thatcher, di uno dei periodi più contrastati della società britannica. Ma le pensioni dei cittadini del Regno costano più di 33 miliardi di sterline all’anno. Una cifra che Cameron e i suoi ministri vogliono drasticamente ridurre, per non fare la fine della Grecia, della Spagna, del Portogallo e dell’Italia.

David Cameron, infuriato, ha detto: «Non credo che questo sciopero porti a qualcosa di buono. Non credo che migliori qualcosa, non credo nemmeno che cambi qualcosa». Un muro contro muro, quindi, mentre il ministro dell’Istruzione, Michael Gove, chiede che vengano cambiate le regole per l’adesione allo sciopero, ora ritenute troppo blande. Intanto, domani, trenta diversi sindacati prenderanno parte alla mobilitazione. Con una polemica alle spalle: solo il 29% degli iscritti si è recato alle urne per decidere sullo sciopero. Una percentuale da molti valutata come troppo bassa, ma le sigle sindacali, per ora, non vogliono riscrivere le proprie regole.

Poi, ci sono anche gli psicodrammi collettivi, come quello legato al principale aeroporto di Londra. Domani Heathrow sarà praticamente bloccato. Previsti ritardi negli arrivi e nelle partenze fino a dodici ore e le principali compagnie aeree hanno ridotto il numero dei voli fino all’osso, chiedendo ai viaggiatori di spostare i propri biglietti. Oggi Londra è nel panico: lo stop di Heathrow vuol dire anche un’economia che si ferma, scambi commerciali che non possono essere portati a termine e business in crisi. Nell’allarmismo dei giorni passati, un team di economisti ha stimato in 500 milioni di sterline il danno dello sciopero all’economia britannica. I sindacati hanno subito smentito, ma la diffusione della notizia non ha di certo rasserenato gli animi.

Il TUC – cioè i sindacati confederali – è fiducioso. «I segnali che arrivano anche dalle periferie del Regno fanno ben sperare per una ripresa del dialogo», fa sapere. E sciopero, per un giorno, vuol dire anche beneficenza. Il Trade Unions Congress ha raggiunto un accordo con la città di Newcastle. Tutti i soldi che il Comune “risparmierà” dallo sciopero dei dipendenti pubblici – in pratica le giornate di stipendio che non andranno in busta paga – finiranno in un fondo contro la povertà, in un’area molto disagiata come quella del nord dell’Inghilterra. Brendan Barber, segretario del TUC, ha commentato: «Il nord del Paese è una delle zone più colpite dall’austerity di Cameron. Ma questo accordo con la città di Newcastle è un chiaro esempio dell’empatia e della capacità di vedere lontano del Comune e dei dipendenti pubblici. Tutti nel Regno Unito dovrebbero seguire questo esempio, per aiutare chi maggiormente soffre per le politiche di questo governo».

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