Una si chiama “Astra”, l’altra “Quadra”: sono le due imbarcazioni, di Siracusa e Mazara del Vallo, fermate dalle autorità libiche e dirottate nel golfo di Sirte. Non è il primo episodio di questo genere: lo scorso 20 novembre infatti era stato rilasciato il peschereccio “Twenty Two” di proprietà di una società armatrice di Mazara del Vallo fermato da una motovedetta libica e dirottato nel porto di Tripoli. Si tratta della “guerra del mare” a cui si assiste da decenni nelle acque del Mediterraneo tra Italia e Libia, fatta di imbarcazioni sequestrate, scortate, svuotate del loro carico di pesce e a volte persino mitragliate. Una “guerra” senza vittime, che nasce dall’indipendenza stessa della Libia, e che si è acuita durante la lunga era Gheddafi.

L’Italia infatti ha più volte dichiarato di non riconoscere la validità della linea di base retta di 307 miglia marine, adottata dalla Libia per chiudere il Golfo della Sirte in modo non conforme al diritto internazionale e derivante dalla pretesa libica di considerare questo golfo come baia storica. Una pretesa da sempre contestata non solo dall’Italia ma da quasi tutti gli stati mediterranei e dagli Stati Uniti che più volte sono penetrati nel golfo (anche causando uno scontro a fuoco nel 1986) proprio con lo scopo di affermare la libertà di navigazione. La Farnesina, su istruzioni del Ministro degli Esteri Terzi, ha preso contatto con la rappresentanza diplomatica a Tripoli per arrivare a una soluzione positiva della vicenda. L’Ambasciata “sta prestando la necessaria assistenza all’equipaggio del peschereccio, con il quale si mantiene in costante contatto”.

Malgrado i trattati di amicizia e di pesca degli ultimi anni, il problema è comunque rimasto insoluto: i pescherecci italiani che partono dalla Sicilia, se si spingono troppo al sud rischiano di imbattersi, come accaduto oggi, con le motovedette libiche. Negli ultimi due anni si contano almeno una dozzina di casi di conflitto tra pescherecci italiani e autorità libiche: dai due pescherecci, il ‘Monastir’ e il ‘Tulipano’, sequestrati il 22 luglio del 2009 con 14 persone a bordo ai tre seqestrati il 10 giugno 2010 a 30 miglia dalla costa libica, proprio nella zona considerata unilateralmente da Tripoli come sua esclusiva pertinenza, liberati solo dopo l’intervento personale dell’ex presidente del Consiglio. E poi, tra gli altri, il 20 luglio 2010 il peschereccio ‘Twenthy-Three’ dirottato nel porto di Sfax e il ‘Daniela L.’ a dicembre, per il quale l’armatore ha pagato a Tripoli un’ammenda di 5.000 euro.

Sequestri, ma anche spari: il primo marzo 2010 colpi di mitra a 36 miglia dalla costa libica contro il peschereccio ‘Luna Rossa’, tre ore di inferno da cui gli otto marinai sono scampati per miracolo. L’episodio più grave, il 13 settembre 2010: contro l’Ariete, un peschereccio sempre di Mazara del Vallo, una motovedetta libica spara alcuni colpi di mitraglia dopo aver intimato l’alt. “Un fatto che non doveva accadere”, scandisce l’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni che pretende le scuse della Libia. Scoppia comunque la polemica: Maroni e Frattini parlano di “incidente”, mentre il capitano del motopesca testimonia che i libici sapevano bene che di pescatori si trattava, e avevano comunque sparato ad altezza d’uomo.

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