“Sono oramai due anni che questo tira e molla continua. Prima o poi, doveva succedere”. Commenta così Beppe Carletti, tastierista e storico leader dei Nomadi, l’abbandono di Danilo Sacco voce solista della band di Novellara dal 1993, un anno dopo la morte di Augusto Daolio.

Carletti si sta riposando dopo la data di Torino e prima della prossima tappa a Borgotaro (Parma) il 3 dicembre, già sold out da settimane. Anche se l’abbandono di Sacco sembra tutto fuorché un fulmine a ciel sereno: “Ne abbiamo parlato parecchio, ci siamo confrontati e gli ho detto di pensarci bene. Abbiamo fatto tanta strada insieme, sarebbe bello continuare e poi nel 2012 sono vent’anni dalla scomparsa di Augusto. Ma niente da fare, una persona non la puoi forzare”.

Questione di alchimie, di energie da mettere in comune e condividere, di uno stile e di una poesia come quella dei Nomadi che non può far trasparire tentennamenti, soprattutto negli storici live: “Io voglio essere lì sul palco e dare tutto. Ma negli ultimi tempi non riesco a dare tutto quello che vorrei. Ho percepito che chi mi stava a fianco, mentre suonavo non era sereno”.

La scelta di Sacco è quella di una carriera solista. Opzione possibile viste le doti vocali e anche la responsabilità di portarsi dietro un ruolo, come quello di cantante dei Nomadi che all’inizio di una carriera può essere solo fortuna, ma dopo diciotto anni rischia di diventare una gabbia: “Lo capisco e gli rendo omaggio. Dopo Augusto, la voce dei Nomadi, quella in cui si identifica la gente è quella di Danilo”.

Nomi di sostituti nemmeno a parlarne, ma di certo non sarà un nome degli attuali Nomadi: “E presto per dirlo. Finito il tour a gennaio ci fermiamo due mesi. Rifletteremo con calma, non vogliamo fare scelte affrettate, ma scelte col cuore. C’è tanta gente che si è già proposta, ne sentire fin troppi. L’unica cosa che posso confermare è che verrà dall’esterno”.

Che tra Sacco e i Nomadi, e tra Sacco e Carletti, fosse tutto precipitato da tempo non era più un segreto per nessuno. Parole grosse erano volate già due anni fa, dopo l’infarto avuto da Sacco che successivamente dichiarò come i Nomadi “più che una grande famiglia fossero una grande azienda di cui Carletti era il direttore”: “Non è una vergogna per me. Io sono direttore dell’azienda e quando hai 20 famiglie che devono mangiare tutti i giorni, per forza di cose lo diventi. Chiamala come vuoi, ma vedo che anche Danilo adesso si è fatto la sua azienda. Ha sbagliato a dirlo, ma l’ha anche detto in un momento di sconforto”.

Lutti, separazioni, liti, cause in tribunale e fan incazzati sono però le stigmate delle rock band: “Prendiamo i Toto avranno cambiato chissà quanti cantanti. Un gruppo è formato da più persone e ognuno mette del suo: chi la voce, chi le braccia forti per suonare la batteria, chi le mani per il basso. Chiaro, il front man è come il centravanti di una squadra di calcio e il pubblico applaude a chi fa gol. Ma io ho sempre considerato i componenti del gruppo importanti allo stesso modo”.

A differenza di Fossati e forse Guccini, i Nomadi non sembrano essere pronti alla pensione, alla dismissione del mestiere del cantautore: “I cantautori di una volta non ci sono più e non è un luogo comune. Di De  Andrè non ne ho più visti nascere; in giro non ho visto grandi eredi di Guccini. Siamo nati in un periodo diverso, negli anni sessanta e settanta respiravi un’aria differente da oggi. Le nuove generazioni non hanno più lo stimolo di scrivere in un certo modo. Non è che scrivano male, ma De André e Guccini erano dei poeti”.

Ultimi giri di chitarra e basso, comunque, per tutti i grandi nomi di quegli anni: “Macché ultimo concerto, uno come Francesco dovrebbe continuare a farne, anche solo uno o due all’anno. Basta che portino in giro quello che sono e hanno migliaia di ventenni in silenzio ad ascoltarli. De André, Fossati e Guccini sono un patrimonio da proteggere”.

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