Più mesto non poteva essere, l’addio del premier che sarà ricordato per i 5 milioni di disoccupati, l’economia boccheggiante e il rischio default. Proprio qui, nel profondo sud andaluso che ha dato i natali a Felipe González, il leader carismatico del socialismo spagnolo che lui, José Luis Rodríguez Zapatero, non è mai riuscito a eguagliare.

E per giunta a Malaga, terra dei record negativi, con il 30% di senza lavoro, il triplo rispetto ad appena quattro anni fa. L’hanno tenuto ai margini, in questa campagna elettorale che si presentava tremendamente complicata sin dall’inizio. E viene da pensare che la scelta di questo palco, nel capoluogo della Costa del Sol, città già sotto la guida dei rivali del Pp, come forse domani lo sarà la Spagna intera, abbia quasi il sapore di una penitenza che gli hanno voluto infliggere.

Per una volta, e solo una, il candidato premier Alfredo Pérez Rubalcaba accetta di farsi accompagnare in un mitin di partito da quello che – fino a quattro mesi fa – era il suo diretto superiore nella sala del Consiglio dei ministri alla Moncloa: proprio lui, che era il vice-presidente e portavoce del governo, tanto da essere considerato il vero “delfino” di Zapatero, ora si tiene a debita distanza, per evitare una storica disfatta. Non più di dieci giorni fa, lo sgarbo peggiore, quando riconobbe di aver trascorso accanto a Felipe González i momenti migliori della sua carriera politica.

Eccolo Felipe, dopo aver accompagnato Rubalcaba in tutta la campagna elettorale, c’è anche questa volta: interviene in video con un messaggio registrato, ad animare ancora i militanti a fare l’ultimo sforzo. Il suo è un appello al “voto utile”, per arginare l’avanzata travolgente della destra, ma è anche un modo per marcare il territorio, far capire che il partito, nei momenti difficili, può contare su di lui. E probabilmente ne avrà bisogno per rimettere insieme i cocci, a partire da lunedì prossimo.

Tutto il contrario della sensazione che ispira Zapatero. Si presenta con un sorriso spento, e con una battuta carica di malinconia: “Vi parla il presidente del governo”. I militanti gli tributano l’onore delle armi, lo accolgono con grande sventolìo di bandiere rosse, lo applaudono quando rivendica le conquiste sociali di questi otto anni, lo assecondano nella sua difesa delle misure richieste e imposte, un anno e mezzo fa, da Bruxelles, quando con una brusca virata della sua politica economica sconvolse la base socialista spiegando che lo faceva “per salvare il Paese”.

Lo disse chiaro, in quei giorni terribili, nel presentare davanti alle Cortes il più duro pacchetto d’austerità in oltre trent’anni di democrazia spagnola. “Costi quel che costi, mi costi quel che mi costi”. A lui, ormai è chiaro, è costata la fine della carriera politica, al Psoe – salvo sorprese clamorose – costerà una sonora batosta elettorale. Ma il Paese, è ancora la sua strenua linea di difesa, ha evitato di seguire almeno per il momento l’amaro destino della Grecia, del Portogallo e dell’Irlanda.

Si consolerà così, nel suo buen retiro di León, la città natale, dove da mesi ha avviato i lavori per una nuova casa nell’elegante quartiere residenziale di Cantón Blanco. Una villetta su due piani, con cinque camere da letto e una piscina semi-coperta su un terreno di 670 metri quadri con un alto muro di cinta e una torretta per la video-vigilanza. Come si conviene a un ex capo del governo.

Il Fatto Quotidiano, 18 novembre 2011

Articolo Precedente

La casta che taglia la casta
In Usa i ricchi vogliono pagare più tasse

next
Articolo Successivo

Un venditore ambulante di democrazia

next