Quando si comincia a leggere Il vuoto intorno (Edizioni Il Foglio, 2011, Euro 15) si deve tenere conto dell’età giovanissima del suo autore esordiente, Claudio Volpe, classe 1990.

Davanti a tanta gioventù, una volta letto il testo, si hanno due reazioni: da un lato la piacevole sorpresa di un vocabolario coltissimo e variegato (io stesso ho trovato un paio di termini di cui non conoscevo il significato, come “rupofobica” p. 132), personaggi profondi e una trama sufficientemente pensata e attrezzata, come raramente capita di trovare nei libri scritti (e pubblicati, ahinoi) da parte della grande maggioranza degli autori sotto i 30 anni. In questo senso, Volpe vince la sua sfida e s’impone come una nuova penna in erba, una penna che senza dubbio si affermerà nel futuro e che, speriamo, avrà molto altro da dire.

La seconda reazione che si ricava dalla lettura di Il vuoto intorno è che spunta in tutta evidenza la voglia matta dell’autore di far colpo sul lettore, di portarlo a emozioni forti attraverso un trucco vecchio come il mondo: quello di raccontare la storia di un pugno di personaggi ai quali capitano tutti i più atroci drammi che penna di scrittore possa immaginare e fantasia di lettore possa creare.

Ecco dunque che la famiglia descritta in questo romanzo è una famiglia dove datemi una lettera e io vi dirò la tragedia che si abbatte sui nostri eroi. Volpe non risparmia assolutamente nulla ai suoi eroi tragici: padre-padrone, violenza sessuale, incesto, pedofilia, violenza domestica, malattia, alcolismo, autodistruzoine, morte, tradimento, tradimento ripetuto, fierezza del cattivo, cattivo dominante, sciovinismo, famiglia patriarcale, menefreghismo del maschio, misoginia, aborti, nascita di figli non sani di salute, figli abbandonati che vengono dopo due anni ripresi dal padre, cottolengo, malati mentali, abusi, suicidi, malattie, sofferenze fisiche ed esistenziali e un senso di prostrazione, di sconfitta, di dolore che raggiunge dei momenti purissimi, certamente in grado di portare alle lacrime il lettore attento e anche il lettore navigato, perché la penna di Volpe è potente e incide là dove sa e là dove deve.

Personalmente, non credo di avere mai letto prima d’ora una descrizione di violenza carnale incestuosa e pedofila più lunga e dettagliata di quella proposta da Claudio Volpe (124-131). E’ una descrizione che indugia sugli aspetti fisici e, in parte, mentali del padre che la compie. Una descrizione lunga, da leggersi in apnea, che spiega il midollo del padre dispotico e violentatore che decide di scoparsi la figlia minorenne. Al termine di questa apnea, il lettore si è avvicinato un po’ all’anima malata e pericolosa del padre violentatore e incestuoso, e questo è precisamente ciò che porta alle lacrime. L’avvicinarsi alla sua psiche, più ancora che l’immedesimarsi – per quelle lettrici che vivono l’immedesimazione dei personaggi di un romanzo – alla catatonia della bimba vittima.

Il romanzo è, dunque, un romanzo vero, avvolto da una forma di misandria rabbiosa contro delle figure di padre e di uomo che sfociano nella fogna del sentire umano. E’ un romanzo che andava di certo pubblicato e di questo bisogna ringraziare Gordiano Lupi, editore delle Edizioni Il Foglio, microscopica ma ostinata realtà del panorama italiano, che si muove come una noce di cocco nell’oceano editoriale e che trova una sua funzione artistica in scelte come questa. Il vuoto intorno è una lettura vera e pesante, un tunnel buio lungo, alla cui fine c’è la luce di una bellissima riflessione filosofica, “La vita, Ettore, è quando impari ad amare.” (p. 275), consigliabile a un pubblico non facilmente impressionabile, e preferibilmente sopra i 15 anni. Claudio Volpe riesce nel suo intento di stupire e ora occorre vedere come saprà gestire una storia del tutto diversa da questa, penso a un romanzo umoristico e leggero, nel quale manchino del tutto i drammi, le tragedie, i dolori assoluti ed esistenziali e il sapore amaro di ferro delle lacerazioni interiori.

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