Sui siti Internet di molti quotidiani internazionali hanno trovato spazio nuove forme di inchieste e reportage interattivi. Special reports del Washington Post, webdocumentaires di Le Monde, data blog di The Guardian, multimedia / interactive features del New York Times, especiales di El Paìs, webdocus di Le Soir sono alcune delle sezioni create appositamente per i web-documentari. Si tratta di prodotti editoriali che integrano il documentario classico con testi scritti e fotografie e che invitano il lettore all’interazione. Ed è proprio questo l’aspetto più innovativo, infatti il prodotto non si muove in maniera lineare, ma è il lettore a scegliere quali parti dell’inchiesta approfondire.

Arnaud Dressen, trentenne parigino, produce documentari interattivi da quattro anni: ha ottenuto il primo successo con “Journey to the end of coal”, pubblicato due anni fa dal sito del quotidiano francese Le Monde: “Era un mix tra un documentario e un videogioco. L’utente si trova alla stazione dei treni di Beijing nei panni di un giornalista. Sin dai primi minuti gli si pongono davanti diverse opzioni e deve scegliere quali contenuti visualizzare”. Journey to the end of coal è un documentario investigativo sulla produzione del carbone, che mette a disposizione dell’utente decine di video, gallerie fotografiche e testi tra i quali muoversi senza dover seguire una linea rigida.

Dressen in questi giorni si trova a Torino per presentare Klint, un programma di montaggio per web-documentari. L’occasione è Trancemedia Bridge,  evento organizzato dalla Fert, l’associazione di produttori indipendenti. Claudio Papalia è uno dei soci fondatori della Fert e ha una visione molto chiara delle potenzialità del web-documentario: “E’ lo strumento perfetto per l’approfondimento. Trasmette tutta la carica emotiva di un film, ma permette di andare più a fondo, avendo la possibilità di scegliere quali contenuti, posti o personaggi dell’inchiesta approfondire”.

Come ogni produzione audio-visiva il problema dei web-documentari è la giusta calibrazione di qualità, costi e tempi. Papalia suggerisce la vecchia regola del cinema “pochi e grandi successi”, anche se il fenomeno web-doc è ancora in gran parte in mano a produttori indipendenti e quindi lontano dal grande pubblico. Mark Atkin è il direttore del Crossmedia Lab un programma internazionale che si occupa di comunicazione transmediale, cioè quel tipo di comunicazione che si muove attraverso vari formati. Le possibilità di rendere commercialmente vantaggiosi questo tipo di prodotti passa attraverso la vendita su Internet: “Io spendo –dice Atkin- un sacco di soldi in applicazioni per iPad. I reportage interattivi diventeranno applicazioni molto scaricate”.

I lettori sembrano apprezzare questo prodotto, tanto che, secondo Dressen, i webdoc stanno diventando come dei supplementi per i giornali online: “Come se fossero l’edizione del week-end dei quotidiani, con un approfondimento che non deve essere obbligatoriamente di stretta attualità e che può essere visitato più volte scoprendo sempre nuovi contenuti. La tv è finita, in futuro la si utilizzerà solo per la diretta dei grandi eventi, tutto il resto sarà costruito intorno alle esigenze dell’utilizzatore”. Dal palco del Transmedia Bridge Stefano Ribaldi, un dirigente di Rai Scuola, parlando del ruolo educativo dei nuovi prodotti multimediali, dice: “I giovani non guardano più la televisione perché non hanno possibilità di confrontarsi. Bisogna fare una rivoluzione come quella del ‘Telefono Giallo’ (trasmissione di Rai Tre a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, alla quale i telespettatori contribuivano con le telefonate).”

In Italia i webdoc non sono ancora diffusi, anche se molti sono i segnali di come il mondo dell’informazione si stia trasformando per dare spazio ai progetti multimediali e multi-piattaforma, che possono ottenere anche notevole successo come nel caso di Servizio Pubblico. Questo è però solo un primo passo infatti spiega Dressen: “il caso di Santoro è particolare: continua a fare la una trasmissione ‘televisiva’ utilizzando i nuovi media, ma il vero cambiamento sarebbe cambiare la forma della trasmissione basandola sulle nuove opportunità che dà Internet”.

Articolo Precedente

“La mossa del riccio”, la guida per chi
dalla protesta vuole passare alla proposta

next
Articolo Successivo

24 novembre 1991 – 24 novembre 2011
Vent’anni senza Freddie Mercury

next