Anche se si moltiplicano le conferme scientifiche sui rischi climatici e cresce l’urgenza di ridurre le emissioni, la forza dei settori energivori, del petrolio e del carbone è ancora tale da impedire un accordo internazionale che non sarà raggiunto né a Durban alla 17a Conferenza delle Parti che si apre il 28 novembre, né nei prossimi 2 o 3 anni. Solo un ribaltamento dei rapporti di forza economici, o meglio, un significativo rafforzamento della green economy potrà creare le condizioni per un accordo. In questo caso, infatti, i futuri vincitori avranno tutto l’interesse a favorire la definizione di obiettivi di riduzione delle emissioni che facilitino la diffusione di tecnologie a minor rilascio di CO2.

In un precedente post avevo indicato le resistenze di grandi gruppi della rete informatica (Facebook, Yahoo, Microsoft, etc.) a utilizzare quote di energia carbon free per il funzionamento dei loro server e dei loro apparati. Oggi riprendo uno studio condotto dal Carbon Disclosure Project a Londra e riportato da Euractiv. In esso si concentra l’attenzione sui vantaggi della diffusione e del passaggio dall’attuale sistema di informatica distribuita verso il cloud computing. Questo, come dice Wikipedia, è un insieme di tecnologie che permettono, attraverso un servizio offerto da un provider al cliente, di trattare dati grazie all’utilizzo prevalente di risorse software e hardware distribuite e virtualizzate nella rete. Lo studio afferma che in complesso le grandi aziende informatiche e le banche potrebbero contribuire a ridurre le loro emissioni di anidride carbonica del 50% se svolgessero le loro operazioni di archiviazione dati tramite cloud. Naturalmente, gli sviluppatori di servizi cloud sono desiderosi di vedere l’espansione dei servizi che prevedono di triplicare nei prossimi due anni. La migrazione è quindi promettente, se estesa all’intero pianeta, almeno dal punto di vista dell’influenza sul clima.

Il cloud computing consente alle aziende di ridurre i costi comprando meno hardware e utilizzando server situati altrove per memorizzare, gestire e processare i dati, con un’economia di materiale e un risparmio energetico annuo valutato per l’Inghilterra in 1,4 miliardi di euro e riduzioni di carbonio equivalenti alle emissioni annue di oltre 4 milioni di veicoli. Questa tecnologia è considerata come una panacea per le imprese ma ha anche, giustamente, molti oppositori. Ci sono preoccupazioni in merito alla privacy e alla sicurezza dei dati e i sostenitori dell’open source sostengono che costringerà gli utenti a sistemi proprietari. Richard Stallman, il fondatore della Free Software Foundation, ha pubblicamente definito il servizio cloud una “trappola”, se non si eviterà che finisca nelle mani di ulteriori grandi monopoli.

Articolo Precedente

Il 2013 sarà l’anno europeo
contro lo spreco alimentare

next
Articolo Successivo

Acqua, allarme arsenico
in provincia di Viterbo

next