Guardate quante cose faccio dalla mattina alla sera. Guardate quanto sono bravo. Quanto sono attivo. E, guardate, mi vedete? sono sempre qui a parlarvi di me e di quel che faccio.
Siamo sicuri che l’autocelebrazione, costante e quotidiana, delle proprie gesta sia un format di comunicazione convincente ed efficace sul medio lungo periodo? Non è una domanda retorica ma un interrogativo vero che scaturisce dall’osservazione del modo in cui, molte nuove e meno nuove figure pubbliche con responsabilità politiche e amministrative, interpretano le potenzialità dei newmedia e, in particolare, dei social network.
Quel che temo, nel tempo, è l’effetto saturazione determinato dalla ridondanza presenzialista di contenuti informativi a base ego. Servirebbero buoni strumenti di misurazione qualitativa, oltre che quantitativa (che invece ci sono e fanno testo), per immaginare quale potrebbe essere l’impatto di questa impostazione semantica sulla piazza virtuale e quale sia l’immagine di sé che si sta proiettando nel futuro. In assenza di questi strumenti la mia vuol essere una esortazione a riflettere con maggior prudenza e consapevolezza sulle dinamiche di comunicazione che, ben al di là dei newmedia e del web 2.0,  determinano la reputazione di un personaggio politico.
Buon lavoro e buona comunicazione a tutti.

E con queste parole scritte su una nota di feisbuc, l’amico Giorgio Morara si congeda e  getta inascoltato un sasso nello stagno 2.0. Da addetto ai lavori, mi limito ad osservare che i social media sono sopravvalutatissimi passatempi che, se non ci fossero ancora tivu e giornali, non ci sarebbe proprio nulla da scrivere se non “Sono stato a mangiare la pizza qui… mmm buona” o “Guarda che bello il mio gattino e che simpatia. Miao” o “Quando eravamo bambini giocavamo in corlile”.
Questi strumenti  di comunicazione devono sicuramente gran parte del loro successo al fatto che nel 2011 molta gente non lavora, ma non nel senso che sono disoccupati, nel senso che il lavoro moderno costringe milioni di persone a stare sedute a una scrivania dalle nove di mattina alle sei di sera anche se non hanno nulla da fare incrementando il traffico della rete (fate un giro su feisbuc il 15 agosto e ditemi chi c’è). Ad aggravare il tutto, ci si sono messi pure gli smartfon che ci permettono di essere sempre connessi, ma la decadenza è sicuramente iniziata con i blog (ora in disuso) dove ognuno poteva scrivere quello che gli pareva sentendosi più intelligente. Grazie a tutti questi strumenti che impongono egocentrismo ognuno è diventato protagonista del proprio nulla digitale e in qualsiasi momento può comunicare al mondo il proprio“stato” di solitudine tecnologica “sicuro” di essere ascoltato da altra gente messa uguale o addirittura peggio che con stati o tuit può addirittura  entrare in contatto diretto con i politici che, un po’ per moda e un bel un po’ perchè gli conviene, si sono buttati a capofitto sui social not-uorc. Per usare queste diavolerie è necessaria  esperienza sul campo e nervi saldi, un errore sul ueb lo si paga caro (facciamo finta di credere anche questo) e di esso rimane traccia digitale a futura memoria. I politici devono sapere che se parlano troppo di loro stessi verranno percepiti come CUUL e che se si scopre che hanno assunto uno stegista a gratis a gestirgli il profilo come va di moda adesso, verranno percepiti come POVERI CUUL e potrebbero addirittura perdere voti tra i propri follouers, ma anche no.
Tra le storie 2.0 di successo segnalo quella del politico Virginio Merola che  prima di candidarsi a sindaco della metropoli di provincia, manco sapeva cosa fossero social not-uorc (sicuramente a causa dell’età e di un sano disinteresse nella tecnologia spinta che di questi tempi può essere un punto di forza). Vediamo come si è mosso:

1) Si è iscritto a tutti i social media possibili e ha trovato uno staff di persone che gli ha gestito il sito internet, feisbuc, tuitter e altre pugnetter
2) Senza sorprese è diventato sindaco e c’è ancora chi afferma che abbia vinto anche per merito dei social not-uorc. Lasciamoglielo credere
3) Fase del mantenimento post trionfo, la più semplice, ma non scontata: dopo essere diventato sindaco qualche buon anima gli aggiorna i profili scrivendo dov’è cosa fa, qualche foto con degli umarells, qualche inaugurazione di qualcosa, una maggnata con il popolino, la riunione al consiglio comunale e così via
4) Fase attuale, la più difficile: il profilo è attivo e aggiornato non si sa bene da chi, ma non certo da lui. Dialogo con gli elettori scarno, rari commenti alle foto, qualche mi piace, pochi tuit, pochi retuit e nessun fishendcip
5) Fine

Bravo! Ha centrato l’obiettivo e può dire di essere presente e attivo sui social not-uorc. Un giusto mics tra personalizzazione e “Gestitemelo voi il profilo che io non ne so mezza. Poi magari se qualcuno mi istruisce un po’ qualche tuitt lo scrivo anche io di persona”
Esistono anche politici più smart, più cuul, che tra un cazzeggio e l’altro aggiornano di persona con l’aifon i propri profili feisbuc e tuitter e i loro elettori possono sapere in diretta quando fanno la cacca o se hanno mangiato degli involtini primavera non tanto buoni alla festa dell’unità di Prato. Sono profili molto interessanti perchè farciti di emozioni vere di gente vera che si lascia andare, un po’ come fa Vasco Rossi, ma leggermente più sobri e ultrapop perché l’obiettivo rimane quello di ottenere l’ambito contrattino quinquennale a tempo determinato. Storie di ordinaria precarietà 2.0.
Profili terribili sono invece quelli dei big della politica che si vede lontano un miglio che sono gestiti dallo stegista dell’agenzia di comunicazione di turno che stila freddi comunicati stampa, appuntamenti, poche immagini, nessuna risposta diretta, nessun retuitt, ma una bella foto professionale con il simbolo del partito in un angolo.
Nel 2011 la dittatura del consenso passa anche da questi nuovi strumenti che, condannati dalla condizione di novità permanente delle tecnologie digitali, presto o tardi passeranno di moda. I politici 1.0 lo sanno e possono continuare a dormire sonni tranquilli.

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