Gli indignati bolognesi torneranno a colpire. Questa volta col metodo del megafono umano, usato a New York dai manifestanti di Zuccotti Park a cui era stato vietato qualsiasi sistema di amplificazione. E allora, per superare il problema, il filosofo sloveno Slavoj Zizek è salito su una sedia e ha pronunciato un infuocato discorso, e tutti i newyorchesi presenti hanno ripetuto all’unisono le sue parole. Un esperimento che è rimbalzato sul web e che sarà riproposto domani alle 18 nella stazione di Bologna. Compito di pronunciare la prima frase spetterà probabilmente a Franco Berardi, meglio conosciuto come Bifo, forse uno dei volti più noti in città e in Italia quando si parla di movimenti sessantottini.

Una personalità – “agitatore intellettuale” lo hanno definito alcuni – che ha attraversato a modo suo tutti i movimenti bolognesi degli ultimi anni, partecipando alla fondazione di Radio Alice nel 1976 e scappando all’estero quando contro di lui fu spiccato un mandato di cattura per “istigazione di odio di classe a mezzo radio”. “Ma tra noi non c’è nessun leader – ci tiene subito a precisare – anzi non è nemmeno detto che la prima frase sia mia. Lo decideremo assieme”.

Passata quella stagione degli anni settanta, e dopo quasi un decennio di attività e viaggi fuori dall’Italia, Bifo sembra ora essersi rituffato nel movimento bolognese. “Certo che è così – spiega – io nasco nel movimento e aspetto il movimento. Che finalmente è ritornato e non si fermerà più”. Non solo ondata di protesta dunque, per Bifo quello che sta succedendo in città e più in generale in Italia è qualcosa di nuovo, che non può essere paragonato a nulla già accaduto in passato. “Al tempo dei no global e di Genova nel 2001 le proteste erano giuste ma puramente ideologiche – spiega Berardi – quello che sta succedendo ora è qualcosa di inevitabile, concreto e che sarà costretto ad andare avanti spinto dalla crisi economica. E non parlo certo di Berlusconi, che è l’ultimo dei problemi della gente”. Bifo, come tanti altri, andrà mercoledì 9 novembre alle 18 in stazione per dare vita ad un megafono umano continuo: “Ma abbiamo scelto di essere più libertari dei newyorchesi e di non andare dietro alle parole del santone di turno. I testi da recitare sono stati scritti collettivamente così come tutti, a turno, avranno il loro momento di guida del megafono umano”.

“Santa Insolvenza protettrice delle precarie e dei precari – recita la prima parte del mantra che sarà ripetuto in stazione – dacci oggi il nostro reddito quotidiano, e allontana da noi i nostri debiti perché non siamo noi i veri debitori”. Quella di domani in stazione sarà la prima di una serie di apparizioni di Santa Insolvenza, il feticcio-statua che gli indignati bolognesi porteranno in processione l’11 novembre in città, e che entro sera compirà il miracolo, guidando i manifestanti verso l’occupazione di uno spazio pubblico coperto “da cui organizzare le lotte”.  “Sappiamo benissimo che non c’è santo o santa che tenga – spiegano quelli dell’assemblea insolvente – i precari hanno capito che devono fare da soli e che ormai non c’è nessuno che li rappresenta”.

Intanto Bifo, scrittore prolifico con alle spalle una lunghissima serie di libri anche fuori dagli schemi, continua a scrivere e a lanciare idee per le proteste future. Se nel 1970, quando era una personalità di spicco di Potere Operaio, scrisse Contro il lavoro, e nel 1993  fu la volta di Come si cura il nazi, un libro che proponeva la tenerezza per curare la malattia mentale del fascismo, in questi giorni Bifo sta lanciando proposte pratiche per dare continuità all’11 novembre.

Eccone una: “Dovremmo andare nei ristoranti di lusso, mangiare come dio comanda e alla fine lasciare cinque euro sul tavolo e una tessera del pane con nome cognome indirizzo e promessa di pagherò quando avrò un reddito che me lo consenta”. L’obiettivo è quello di dare battaglia in tutti i modi al libero mercato, luogo dove i  “predoni accumulano bottino privatizzando i servizi, licenziando, negando le pensioni e eliminando spese inutili come la scuola e la sanità”.

di Giovanni Stinco

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