La Danimarca, alla guida dell’Ue dal gennaio prossimo, promette di fare tutto il possibile per sbarazzarsi del cosiddetto “UK rebate”, ovvero il rimborso che ogni anno la Gran Bretagna riceve da Bruxelles, circa 5 miliardi di sterline (5,6 miliardi di euro). Si tratta di una somma che ogni anno Westminster esige indietro dall’Ue, come prevedono i trattati, dal momento che una buona fetta dei fondi europei che Bruxelles distribuisce ai suoi 27 Paesi membri vanno all’agricoltura, attività che in Gran Bretagna è davvero marginale. D’altronde, oggi come oggi, più che il settore agricolo è quello finanziario in cerca di aiuto, settore che ha proprio in Londra la sua capitale.

Sbarazzarsi dell’UK rebate è solo una delle novità che il nuovo governo socialista di Copenaghen ha promesso, ma forse quella che avrà più effetti a livello internazionale. I diplomatici danesi hanno infatti giurato che se la Gran Bretagna non accetterà di rinunciare al rimborso anche la Danimarca potrebbe chiederne uno, dal momento che in proporzione è il Paese che beneficia meno degli aiuti europei rispetto a quanto paga.

Il nuovo corso danese abbraccia la battaglia decennale della Francia contro il rimborso alla Regina e riporta Copenaghen al centro dell’Europa. Un ruolo a cui la nuova premier Helle Thorning-Schmidt, prima donna della storia alla guida della Danimarca ed ex eurodeputata, ha dimostrato di tenere molto. Subito dopo la sua elezione ha infatti annunciato l’addio al proposito del precedente governo di destra di chiudere le frontiere e il ritorno all’inviolabilità dello spazio di libera circolazione di Schengen. Niente più controlli alla frontiera, come aveva minacciato il precedente governo guidato da Lokke Rasmussen, una decisione che aveva rischiato di generare un effetto domino tra i paesi dello spazio Schengen, in primis Olanda e Finlandia, in difficoltà a gestire le ultime ondate immigratorie.

“Il governo lavorerà duro per contrastare il crimine transfrontaliero nel rispetto del Trattato di Schengen. I piani svelati nel maggio scorso di reintrodurre controlli alla frontiera non saranno assolutamente attuati”, si legge nel documento programmatico della nuova colazione di governo formata dal partito socialdemocratico della Schmidt, il Partito socialista e la Sinistra radicale. Insomma, gestite l’immigrazione, “ma nel rispetto delle leggi europee”.

Un duro colpo per i conservatori, che proprio sulla chiusura delle frontiere avevano basato la loro campagna elettorale, facendo leva sui pruriti xenofobi di un elettorato scosso anch’esso dalla crisi economica. Una sparata che aveva inasprito i rapporti con Bruxelles, che a più riprese e dopo aver inviato un’apposita delegazione a Copenaghen aveva giudicato “ingiustificate” le ragioni addotte dal governo Rasmussen per reintrodurre i controlli alla frontiera. La stessa commissaria Ue agli Affari interni Cecilia Malmstrom aveva giurato di essere “pronta a usare tutti i mezzi in suo possesso per difendere la normativa Ue sulla libera circolazione delle persone”, anche perché uno dei muri che Copenaghen avrebbe voluto erigere avrebbe guardato proprio sulla sua nativa Svezia.

Insomma un inizio molto ambizioso per il nuovo governo della Thorning-Schmidt, insediatosi da qualche settimana e composto da 23 ministri con un’età media di 43 anni. Il più giovane, Thor Möger Pedersen, ne ha addirittura 26 e è responsabile della Tassazione. Ad Astrid Krag, 28 anni tocca la Salute. E a proposito di Immigrazione, è entrato a far parte dell’esecutivo un ex immigrato in Danimarca, Manu Sareen, di origini indiane. Soltanto in due hanno già ricoperto in passato altri incarichi ministeriali.

E non è finita qui. Il nuovo governo intende anche far dimenticar il fallimento del summit internazionale sul clima ospitato a Copenaghen nel dicembre 2009. “Il Governo spingerà affinché l’Ue adotti l’obiettivo del 30 per cento per la riduzione di Co2 entro il 2020 rispetto ai valori del 1990. Vogliamo lavorare per assicurare che il mercato interno europeo supporti sempre di più la richiesta di prodotti e fonti di energia sostenibili”, si legge sempre nel documento programmatico. Un obiettivo quest’ultimo difficile a dire il vero, visto che l’Ue, anche a causa della crisi economica, sembra più orientata verso un 20 per cento al massimo 25.

Insomma buoni propositi e voglia di fare la  Thorning-Schmidt ne sta dimostrando parecchia. Forse è proprio questo che Silvio Berlusconi ammirava al Consiglio europeo del 26 ottobre. E non il suo “lato b”.

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