Berlusconi, a sua insaputa, ha internalizzato la lezione del surrealismo, da Magritte a Dalì: la realtà non è mai come la si vede, la verità è soprattutto immaginazione. Più sfrenata la cavalcata della fantasia, più lucida la percezione dell’artista.

E’ in questo contesto che si generano gli universi onirici berlusconiani: “In Russia ho preso più applausi di Putin. Lui cinque minuti, io sei. Infatti mi ha detto: ‘meno male che stai in Italia’”. Nonostante Putin non sorrida quasi mai, non riusciamo ad immaginarcelo serio mentre gonfia l’egotistismo del giullare venuto ad allietarlo col Bunga. Invece per la Merkel e Sarkozy non dobbiamo sforzare l’ immaginazione. Le risate prorompono in diretta Tv e senza nessuna scusa successiva.

L’Araba Fenice risorgeva dalle sue ceneri. Il pallone inceronato dopo ogni scoppio viene rigonfiato diligentemente dai servi mediocri, solerti e ben remunerati. Ma l’espressione beffarda dei due ex alleati europei è un punteruolo che infligge danni irreparabili.

Un’espressione che non deve essere troppo diversa da quella dipinta sul volto della Signora D’Addario quando lo Zar di tutte le Russie in pectore credette di averla conquistata e le dispensava consigli, tipo educanda, su come eccitarsi. O, per restare in tema, il sorriso sardonico di Giampi quando gli procurava così tante conquiste.

Tutt’altro decoro invece si addice ad un austero professionista come l’avvocato Paniz. Un principe del Foro (inteso come Tribunale e non come orifizio) non sorride neanche quando nella solenne cornice del Parlamento asserisce che il Presidente del Consiglio era davvero convinto di intercedere per la nipote di Mubarak. Compunzione e serietà richiesta a tutti i colleghi onorevoli che in Aula suggellano con il voto cotale manifestazione di vis oratoria, ma che a casa si sganasciano al pensiero dell’augusta nipote rifilata alle cure di una Minetti (italiana) e di una prostituta (brasiliana).

E’ in questo clima che viene partorita la Lettera, scritta da un trust surreale di quasi Nobel e quasi Innominabili. Un gioco di specchi dove si intreccia il riscaldamento di zuppe quasi rancide (l’abolizione delle Province, l’età pensionabile) e il riciclaggio di misure blaterate invano da dieci o venti anni. Nessuno a Bruxelles, a Francoforte, a Washington, a Londra (ma neppure nel Burundi e a Tonga) sogna ad occhi aperti che degli Scilipoti, dei Micciché, o i tanti avvoltoi appollaiati in attesa di strappare un pezzo di carne in decomposizione, voteranno uno solo dei provvedimenti surrealmente promessi. Il Tremonti dal sorriso algido, l’autoproclamatasi Vestale del rigore e dei conti in sicurezza, non ha nemmeno vergato la missiva, sottolineando una volontà politica moscia quanto la sua erre.

In tutto il mondo si aspetta l’irruzione della realtà su questo tragico set à la Buñuel. Venerdì i mercati hanno prontamente e giustamente derubricato la panzana del Fondo salva–Stati a presa per il fondello. I titoli di stato italiani sono stati massacrati nelle aste e sui mercati, mentre il povero Klaus Regling, capo dell’EFSF, viene spedito in Cina con il cappello in mano per la questua. Una trovata che avrà effetti benefici per lo più sul suo programma frequent flyer. I cinesi (e con loro brasiliani, russi, indiani o eschimesi che siano) non hanno la minima intenzione di finanziare il dolce far niente di pensionati a quaranta o cinquanta anni, gli organici pubblici gonfiati, le vacanze gratis in località termali spacciate per trattamenti sanitari, o le tresche dei Lavitola e dei Verdini. Soprattutto quando ampie fasce delle loro popolazioni vivono ancora nell’indigenza o si smazzano nelle fabbriche per produrre i gadget di cui fanno incetta i tronysti di Ponte Milvio.

E se proprio dovessero decidere che le sorti del mondo dipendono dai cordoni della loro borsa, non si accontenteranno delle letteronzole di Papi come garanzia. Imporranno pre-condizioni e le verificheranno occhiutamente, senza fidarsi delle troike (con la kappa) che si fanno periodicamente infinocchiare dai Greci e di quelle (senza kappa) che ruotano attorno ai palazzi romani. Sarebbe proprio uno spettacolo surreale se dopo aver tanto sbraitato contro l’intollerabile commissariamento della Bce, la casta politico-sindacale si ritroverà a via XX settembre i commissari del popolo inviati dal partito comunista cinese.

Uno spettacolo che un Dalì redivivo immaginerebbe svolgersi sul palcoscenico di pole dance in un salone senza finestre. Dietro il palo, ormai abbandonato dalle signorine prive di cappa, illuminata da luci stroboscopiche made in China, incombe una ghigliottina dalla lama lucida a forma di busta.

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