Ci risiamo. A una settimana giusta dall’infelice uscita di Silvio Berlusconi sul presidente dei Giovani Industriali, un 36enne a capo di un’industria da 4 milioni di euro di fatturato all’anno sprezzantemente definito dal premier «ragazzotto industriale», oggi è la controparte a fare un passo falso.

Il segretario del Partito democratico Pierluigi Bersani, a Napoli per il convegno «Finalmente sud», avventurandosi in un botta-e-risposta a distanza con Matteo Renzi a proposito delle istanze generazionali e del ricambio ai vertici del Pd ieri ha detto «È chiaro che tocca ai giovani, a chi deve toccare? Ma bisogna mettersi a disposizione, non si può pensare che un giovane per andare avanti deve scalciare, insultare».

Scalciare? Le parole, diceva Nanni Moretti, sono importanti. Usare verbi come questo, al pari di termini come «ragazzotti», non può che far trasparire superbia e boria e sopratutto scarso rispetto nei confronti degli avversari – e alleati – più giovani.

Un atteggiamento che, se in un certo senso prevedibile da Berlusconi (che già in passato aveva suggerito a una ragazza, come antidoto alla precarietà, la soluzione di cercarsi un fidanzato ricco come suo figlio Piersilvio), sorprende da Bersani, tradizionalmente più attento a questi temi.

Tra l’altro definire giovani due persone di 36 anni – il primo a capo di 12mila imprenditori, l’altro alla guida di una città di quasi 400mila abitanti – è anche una forzatura. Possono essere definiti giovani solo se comparati all’età media dei politici italiani – non solo il premier ha ormai compiuto 75 anni, ma Bersani ha sorpassato quest’anno la boa dei 60, come il suo coetaneo Antonio Di Pietro; il leader della Lega Umberto Bossi ne ha 70, mentre i tre che una volta venivano definiti “le nuove leve” della politica italiana – Fini, Rutelli e Casini, a capo di Fli, Api e Udc – sono nati rispettivamente nel 1952, 1954 e 1955. Il meno anziano dei leader dei grandi partiti è Nichi Vendola, ed è tutto dire – perché ha 53 anni e la sua prima elezione in Parlamento risale a quasi vent’anni fa.

In un interessante editoriale sulla Stampa di oggi Irene Tinagli, 37enne “cervello in fuga” eccellente che insegna Economia a Madrid (e che probabilmente, se fosse rimasta qui in Italia, sarebbe ancora aggrappata ad assegni di ricerca annuali e alla protezione di un barone), si chiede perché mai «l’opzione generazionale non arriva mai». E ricorda come all’estero le cose vadano diversamente: dall’Inghilterra guidata dal quarantacinquenne David Cameron al primo ministro norvegese Jens Stoltenberg, eletto quando aveva 41 anni dopo averne passati cinque a capo del dicastero dell’Economia (noi per parte nostra abbiamo il sessantaquattrenne Tremonti, già attivo in quel ministero in qualità di collaboratore dai lontani anni Ottanta). Per non parlare del primo ministro danese, la quarantaquattrenne Helle Thorning-Schmidt, che ha nominato al ministero delle Finanze un trentottenne e a quello degli Interni una ventottenne.

Concordo con la Tinagli: le persone – vecchie o giovani che siano – devono dimostrare sul campo quello che valgono, e non è affatto detto che un Renzi sia più capace di un Bersani per il solo fatto di avere un quarto di secolo in meno. La politica ha bisogno di buone idee che camminino su buone gambe, di schiene dritte e occhi rivolti al futuro: è vero che possono esserci ottantenni con queste caratteristiche e ventenni invece già vecchi, asserviti al sistema, disonesti ed egoisti.

Insomma, se è innegabile che avere una certa età non significa per forza essere bolliti e non possedere più le caratteristiche necessarie per riformare un sistema, è altrettanto vero che essere giovani non significa automaticamente essere credibili o avere idee candide. Però è assurdo che in Italia si continui a vedere il ricambio generazionale come il fumo negli occhi, a negarne il valore e le potenzialità. La maggior parte degli studiosi concorda nel sostenere che l’apice delle capacità intellettuali viene raggiunto fra i trenta e i quarant’anni. Se non fossero marginalizzati nel sistema decisionale dei partiti, tutti questi trentenni non “scalcerebbero” ma parteciperebbero con grande beneficio di tutti. A cominciare da noi cittadini.

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