Erano comparse a fine aprile provocando una moria di pesci. Erano tornate appena iniziata la stagione, a metà giugno, provocando il panico tra gli operatori turistici. E che si sarebbero ripresentate in autunno c’era da aspettarselo. Le ormai celebri “macchie scure” invadono di nuovo la costa emiliano-romagnola, quella riminese in particolare.

In un’estate in cui il dramma degli scarichi fognari è tornato a spaventare i cittadini e a interessare la procura della Repubblica di Rimini (arrivando – dalle risultanze scientifiche e investigative – a parlare di “bomba batteriologica” da contaminazione fecale), in questi giorni la preoccupazione di residenti e addetti ai lavori si è concentrata sulle acque rossastre tra Torre Pedrera e Igea Marina così come su un’orribile schiuma che galleggia lungo il molo del porto di Rimini, proprio fra la darsena e la nuova scogliera. A nord le alghe marroni sono comparse sia vicino alla costa sia al largo, a sud più che altro nell’area costiera. Tornano le mucillagini degli anni Novanta? Non sembra, ma Arpa e Ausl nelle ultime ore sono state comunque tempestate da una pioggia di segnalazioni. Al punto che, lunedì sera, i marinai della guardia costiera non hanno potuto fare a meno di inoltrarsi in una nuova serie di sopralluoghi specifici. Che è successo?

Le macchie scure e le marroni? Causate da sostanze nel Po. Ecco l’ultimo bollettino firmato dalla struttura oceanografica Daphne di Arpa Emilia-Romagna: “Il tratto di mare da Bagni di Volano a Cattolica è interessato da un intenso fenomeno eutrofico caratterizzato anche da bassi valori di salinità. Questa condizione, nella zona centro-settentrionale, riguarda sia l’area prossima alla costa sia quella al largo mentre, nella zona meridionale, interessa solo l’area costiera. I livelli alti di trofia sono sostenuti da uno sviluppo microalgale caratterizzato da diatomee in particolare appartenenti al genere ‘Chaetoceros’ che conferisce alle acque una classica colorazione marrone-giallastra”. In un quadro del genere, aggiunge lo staff dell’Arpa regionale, “l’intensa azione del vento durante il fine settimana ha probabilmente favorito l’addensarsi di tale fioritura microalgale (a fine ciclo vitale) dando luogo alla formazione di materiale organico bianco-giallastro addensato in superficie, sia al largo che in costa, arrivando a entrare anche in alcuni portocanali”.

In sostanza – complici i 51 millimetri di pioggia caduti tra il 20 e il 21 settembre, il mare piuttosto calmo ma anche il caldo che tuttora non concede tregua – dal Po le acque dolci hanno condotto fino all’Adriatico ingenti quantità di nitrati, fosfati e silicati in una stagione in cui le acque marine non godono di buona circolazione. Di qui la fertilizzazione delle microalghe – invisibili a occhio nudo, ma in grado di emanare l’intenso odore marino tipico del fitoplancton – che sono cresciute a dismisura. Una volta sedimentati, questi vegetali hanno consumato l’ossigeno nelle acque causando in aprile l’ingente moria di pesci.

Arpa Rimini: tutto normale, basta che non piova troppo. Mauro Stambazzi, direttore di Arpa Rimini, mira a tranquillizzare: “Niente mucillagini, abbiamo a che fare unicamente con una fioritura di alghe che risulta normale in questo momento della stagione. Se il mare fa burrasca, voglio dire, si pulisce tutto in qualche ora. Ribadiamo che in questo caso non siamo in presenza di alcuna tossicità per pesci e persone. Il fenomeno, fra l’altro, risulta già in calo. Se torna a piovere le cose si complicano? Diciamo che se una precipitazione sarebbe auspicabile per ricaricare le falde e il bacino di Ridracoli, non sarebbe altrettanto amica della salute del mare in questo periodo”. Il punto è che il clamore suscitato attorno a macchie scure e concentrazioni rossastre continua a incuriosire non poco e a tenere banco tra gli ambientalisti (fu Legambiente a denunciare pubblicamente il caso di fine aprile, comunque più anomalo rispetto a quello attuale per il periodo in cui si è verificato).

E intanto, sugli scarichi fognari, si parla di “bomba batteriologica”. I dati che tra lo scorso maggio e il mese successivo sono stati raccolti da Hera, Arpa, Regione e università – dati al momento al vaglio della procura di Rimini che indaga sugli sversamenti fognari in mare – non sono tranquillizzanti. Si tratta dell’altra vicenda che ha reso più travagliata l’estate degli operatori turistici e degli abitanti, quella dei liquami riversati in mare quando i sensori di piena del depuratore portano all’apertura delle paratie.

Una vicenda nella quel, si legge, la concentrazione degli enterococchi – i cui livelli indicano se c’è o meno contaminazione fecale – raggiunge quota 150 mila in 100 millilitri d’acqua, mentre normalmente i valori non si dovrebbero discostare da quota 200. Di qui spiegato l’allarme, con tanto di bandiere rosse sul litorale per vietare la balneazione, che si genera nelle ore successive allo svuotamento del depuratore. Un allarme che si scioglierebbe nei due giorni che seguono attraverso l’azione della salinità dell’acqua marina e dei raggi ultravioletti, che uccidono i microrganismi batterici.

Se fino a qui fa riferimenti a elementi raccolti dagli enti di cui sopra, a breve partiranno le perizie sui campioni raccolti direttamente dagli inquirenti. Inoltre, sempre nelle prossime settimane, a Francesco Toni, del dipartimento di igiene pubblica dell’Ausl locale, sarà affidata una relazione degli effetti ospedalieri della vicenda. Compito di questa fase sarà infatti quello di collegare alla balneazione malesseri di pazienti che si sono rivolti alle strutture sanitarie riminesi. Sviluppi nell’inchiesta, dunque, sono attesi a breve.

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