IL CAIRO – “Non ci credo finché non sono in fila per le urne, ma per ora resto ottimista”. A sintetizzare l’attitudine di molti egiziani di fronte alle annunciate elezioni di novembre è Mustafa, 25 anni e due lavori. Di giorno cuoco, in un grosso Hotel del Cairo, di sera tassista. Come lui la vedono in tanti, ma non per questo si scoraggiano.

Al contrario, proprio le reiterate proteste dei movimenti di opposizione e di vari partiti politici hanno portato all’ultimo cambio di carte in tavola messo in atto in questi giorni dal consiglio militare. L’agenzia di stampa ufficiale Mena ha infatti annunciato che la legge elettorale è stata nuovamente emendata: si voterà con un sistema misto che prevede l’elezione di due terzi dei deputati delle camere con un voto di lista e di un terzo con scrutinio uninominale.

Una miglioria chiesta a gran voce, rispetto al precedente annuncio di un sistema 50-50, da molti dei neonati partiti e dei movimenti che sono sorti dalla rivoluzione o vi hanno preso parte. Il loro timore era che un 50% di sistema uninominale per candidati indipendenti potesse favorire i tentativi di riciclaggio politico da parte degli ex esponenti e funzionari del regime di Hosni Mubarak e del suo disciolto Pnd. La loro richiesta era tuttavia quella di eliminare totalmente la possibilità di voto al singolo candidato.

La strada però è lunga e i giochi sono tutto fuorché chiusi. Queste decisioni devono infatti essere ratificate dal Consiglio militare. Una certezza sembra finalmente esserci sulla data delle elezioni, che – secondo quanto riportato mercoledì dall’agenzia Mena – si terranno il 28 novembre per la camera bassa e il 29 gennaio per la Shura, la Camera alta.

La critica mossa alla giunta, ultimamente, è quella di assomigliare un po’ troppo al vecchio regime. Ad agitare le acque in queste settimane è stata ad esempio la decisione di prorogare la legge di emergenza, che avrebbe dovuto essere definitivamente cancellata dopo trent’anni. Ma gli esempi sono tanti, dagli arresti indiscriminati denunciati da alcuni attivisti dopo il raid alla ambasciata israeliana di inizio mese, al cortina di fumo imposta sulla testimonianza del Maresciallo Tantawi al processo contro Mubarak.

“Siamo certamente in un momento di transizione – spiega nel suo ufficio poco distante da Tahrir Kamal Abbas, leader del Ctuws, una Ong che da 20 anni fornisce assistenza e consulenza legale ai lavoratori, attivista che per le sue opinioni è finito in carcere varie volte – Di certo la rivoluzione ha avuto successo nel portare a casa alcune libertà, come quella di espressione, che ora è decisamente più ampia di prima. Ma siamo davvero all’inizio e a volte siamo frustrati o confusi perché ci sembra di aver fatto un passo indietro o di aver fatto tanto lavoro per nulla. Io, in ogni caso resto ottimista, anche se magari ci vorranno anni ad avvicinarci alla democrazia”.

Il fuoco della rivoluzione di certo non è spento, ma a volte sembra bruciare a fiamma alterna, complice, probabilmente, anche la difficile congiuntura economica. “Il turismo è diminuito e molta gente fa fatica ad arrivare a fine mese – spiega Ahmed, 32 anni, studente di diritto islamico con un lavoro al souk cairota di Khan el Kalili – io sto a galla perché ho anche il supporto della mia famiglia. Ma qui ci sarebbe bisogno di un nuovo inizio, di fare riforme, di creare posti di lavoro”.

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