Nonostante l’ombra del default incomba su alcuni stati d’Europa, ci sono paesi che non smettono di investire nella ricerca, neanche in quella contro l’Aids. Perché nello sviluppo ci credono davvero, così come nei cervelli di casa propria. Non stiamo parlando dell’Italia che anzi, pur vantando gli esperti migliori nella lotta all’Aids, ha di fatto rinunciato a finanziare la ricerca, non avendo ancora deciso se finanziare o meno il Programma nazionale di ricerca sull’Aids, il programma istituito verso la fine degli anni ‘80, come hanno denunciato alcuni nostri scienziati sulle pagine di Science qualche mese fa.

Stiamo invece parlando di un nostro vicino, la Spagna, che di certo la crisi non si può dire che non l’abbia sentita. Infatti, mentre l’Italia non riesce ancora a riprendersi dalla pessima figura fatta mesi fa, quando ha mancato la promessa di dare il proprio contributo al Global Fund to Fight Aids, Tuberculosis and Malaria (siamo l’unico paese del G8 a essersi tirato indietro), la Spagna ha finanziato con risorse pubbliche lo studio di un nuovo vaccino che, almeno dagli studi preliminari, sembra essere molto promettente.

Sviluppato dal Centro superior de investigaciones científicas, in Spagna, il vaccino ha dimostrato in uno studio di fase I, quindi in una sperimentazione iniziale, che è in grado di stimolare le difese dell’organismo e che può “insegnare” al sistema immunitario a combattere il virus dell’Hiv. Si tratta solo di un punto di partenza, come specifica la rivista Journal of Virology. Ma gli scienziati spagnoli ci credono molto, tant’è che hanno chiesto nuovi finanziamenti per continuare i loro studi.

“La Spagna sta in una buona posizione per intraprendere la prossima fase della ricerca”, ha detto Mariano Esteban del Centro Nacional de Biotecnología del Csic, uno dei papà di questo vaccino. “Abbiamo fatto un passo in avanti. E’ il primo vaccino di questo tipo – ha continuato – sviluppato nel nostro paese e per questo dobbiamo continuare”.

Quello che hanno dimostrato i ricercatori è che il vaccino ha generato una significativa risposta immunitaria, fino al 90%. Questo significa che è in grado di “allenare” il sistema immunitario di una persona sana a individuare e combattere le componenti del virus dell’Aids. “E’ come se gli avessimo mostrato una foto dell’Hiv per metterlo in condizioni di riconoscerlo in futuro”, ha spiegato il ricercatore.

Già nel 2008, in sede di sperimentazione animale, il farmaco aveva mostrato un’efficienza molto elevata nei topi e macachi contro il virus dell’immunodeficienza delle scimmie. Ora, grazie alla sua elevata risposta immunologica negli esseri umani, la sperimentazione clinica sarà condotta anche su volontari con infezione da Hiv, per testare l’efficienza come vaccino terapeutico. La storia di questo vaccino nasce nel 1999, quando il team di ricerca di Esteban inizia a lavorare allo sviluppo di Mva-B, il cui nome deriva dalla sua composizione, basata sul virus Ankara. Il vaccino, inoltre, è composto anche dal sottottipo B dell’Hiv, il più diffuso in Europa, negli Stati Uniti, in America Centrale, in Sud America e nei Caribi.

“Si basa sull’introduzione di quattro geni dell’Hiv B in quantità sufficiente per suscitare una reazione nell’organismo ma non per produrre un’infezione, il che garantisce la sicurezza”, ha precisato Felipe Garcia, altro ricercatore che lavota all’Hospital Clínic di Barcellona. In questa prima fase di studio il vaccino è stato testato su 30 volontari sani. Tra questi, 24 hanno ricevuto tre dosi di vaccino: uno all’inizio dello studio, e le altre due dopo 4 e 16 settimane. I restanti 6 hanno invece ricevuto del placebo.

Tre dosi del vaccino sono state somministrate per via intramuscolare, e gli effetti sono stati valutati dopo 48 settimane. I linfociti T e B sono le cellule principali in questo esperimento, i “soldati” incaricati di rilevare le sostanze estranee nel corpo e inviare le coordinate per distruggerle. I test, 32 settimane dopo l’ultima inoculazione del vaccino, mostrano che la produzione di linfociti T “CD4 +” e “CD8 +” del gruppo di vaccinati è stata del 38,5% e del 69,2% rispettivamente, mentre rimane a 0% nel gruppo a cui è stato dato il placebo.

Promettente certo, ma non basta: per essere veramente efficace, un vaccino deve lasciare nell’organismo una “memoria” del nuovo virus da combattere, per far sì che i linfociti prodotti, come soldati veterani, continuino negli anni a combattere contro il loro personale nemico. Dopo un anno l’85% dei pazienti ha dimostrato proprio questo, cioè la conservazione della risposta immunitaria. “il vaccino – ha sottolineato Esteban – ha dimostrato di essere potente come nessun altro vaccino in fase di studio”.

Ma i ricercatori sono molto cauti. “Al momento l’unica cosa che sappiamo – ha detto Garcia – è che stimola le difese e che è sicuro perchè non abbiamo riscontrato gravi effetti collaterali. Non possiamo dire ancora se sarà efficace nel prevenire l’infezione. Per questo abbiamo bisogno di ulteriori ricerche”.

Ora infatti si dovrebbe passare alla fase II che ha proprio lo scopo di verificare se è per davvero efficace e in quali dosi. Se tutto andrà come sperato “si potrà avviare la fase III (un test su larga scala) nei prossimi cinque anni”, come ha stimato Esteban. Un’altra ipotesi, infine, è quello di provare a usare il farmaco come vaccino terapeutico. “I pazienti con l’AIDS – ha detto Esteban – devono assumere un trattamento anti-retrovirale per tutta la vita e non possono mai lasciare o prendere delle pause. Vogliamo vedere se il vaccino rallenta la diffusione del virus nell’organismo e permette di sospendere l’assunzione di farmaci per un po’. Insomma, vedere se si tratta di un’alternativa al trattamento”.

di Valentina Arcovio

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