Faccio il primo ministro a tempo perso“. Così Berlusconi a Marysthell Polanco (l’unica donna meno erotica di Livia Turco). Grande scandalo per cotanta affermazione, ma è un’indignazione fuoriluogo: ce n’eravamo accorti da soli.

Dalla rumenta delle intercettazioni baresi, emerge lo squallore che ti aspetti da un satiro tascabile che millanta (“Ieri sera avevo la fila fuori dalla porta, erano in undici. Me ne sono fatte solo otto, non potevo fare di più”) e ha della plebe il rispetto che il lanista Batiato riservava ai gladiatori (“Possiamo decidere del loro destino perché siamo uomini di potere, ma le voglio tutte giovani”).

Mentre già si parla di una riedizione della legge Bavaglio, nella versione tollerata da parte della cosiddetta “opposizione” e ovviamente pronta all’avallo del Grande Monitorante Napolitano, si leggono i consigli intellettuali di Gianpi Tarantini (“Se metti le calze ti ammazzo”, “Vestiti proprio da mignotta! Mettiti un vestito nero corto altezza f…, si deve vedere il pelo appena”) e i vanti pateticamente machisti di un vecchietto erotomane (da leggenda il dialogo con Patrizia D’Addario. Berlusconi: “Capisco, tu hai subito dei colpi… perché io poi ti ho dato dei colpi pazzeschi ieri… dei colpi che… e ho mantenuto un ritmo anche colossale. La D’Addario: “Uhms, se lo sai tu…”. Poi, rivolgendosi a Tarantini: “Mi buttava la coperta addosso e io stavo morendo di caldo (…) Sai, a un certo punto della notte non ci riusciva… niente, ha detto che era… che era la prima volta… Sarà l’emozione, la stanchezza”).

Gran parte della stampa (di destra e sinistra) glissa: guai a guardare dal buco della serratura. Nel solito impeto di erezione facile, Repubblica ieri paragonava Manuela Arcuri alla Magnani perché aveva detto “no” a Berlusconi (è lo stesso giornale che, dopo le europee, creò l’immortale parallelismo Debora Serracchiani-Barack Obama). Poi, ovviamente, il giorno dopo si scopre che la Arcuri – la stessa degli spot per il Mahatma Marra sullo “strattttegismo sentimentale” – non ha detto no, ma prima di concedersi “voleva vedere il cammello“. Essere cioè certa dei vantaggi che avrebbe ottenuto dalla ipotizzata copula a tre (featuring la filosofa Francesca Lana). Alla fine non se ne fece di nulla non per moralismi o pudori, ma perché la Arcuri si imbarazzò quando seppe della presenza – la sera dell’agognato ménage – di Paolo Berlusconi a Palazzo Grazioli, amico della manager della “attrice”.

Lo scenario è drammaticamente chiaro: un premier che neanche in Uganda, un giornalismo che neanche in Belize, una pletora di collaborazionisti e cortigiani che va da ex direttori Rai a pseudo-imitatori da Bagaglino.

In tutto questo – c’è arrivato persino Eugenio Scalfari – il problema non è Berlusconi. E’ chi lo vota. Il problema è un paese che da decenni, anzi da sempre, non si innamora dell’uomo forte ma della caricatura dell’uomo forte. Mussolini, Craxi, Berlusconi.

L’attuale primo ministro (a tempo perso) ne è variante e versione estrema: una macchietta derisa da tutti (tranne che da noi), che nemmeno i suoi avvocati si fidano a lasciar solo per una testimonianza (come parte lesa: non c’è abituato). Un nonnetto che si dice – da solo – che ce l’ha lungo come una sciabola, che mantiene ritmi “pazzeschi” e “colossali”, che “se ne fa solo otto” (e qui il suo elettorato si gasa: daje), che quando fa cilecca racconta balbettando che “è la prima volta che mi capita, sarà l’emozione“. Una barzelletta bonsai e dannosissima.

Faccio il primo ministro a tempo perso“. Gli italiani, invece, fanno gli italiani a tempo pieno. E i risultati si vedono. Da diciassette anni almeno.

Ps: Che poi, in tutto questo, quello che non capisco è perché Berlusconi copriva il volto della D’Addario con una coperta. Il contrario, casomai: l’estetica è importante, in certi frangenti.

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