A lungo è stata il baluardo del pubblico che funziona contro la privatizzazione predatoria di scuole, servizi sociali e strutture sanitarie. Reggio Emilia, la terra rossa dove lo sviluppo economico è temperato da generose politiche di contenimento delle diseguaglianze si è fermata di colpo. Il suo modello di welfare, riconosciuto, studiato e imitato perfino fuori dai confini nazionali sta perdendo i pezzi. La manovra del governo l’ha spogliata capitolo dopo capitolo: i fondi si sono ridotti del 50% negli ultimi quattro anni e per effetto della manovra d’agosto nel 2011 il bilancio comunale è stato ridotto ulteriorimente di 14 milioni che significa tagliare ancora istruzione, servizi sociali, opere pubbliche e infrastrutture. Così il futuro, che solo ieri sembrava roseo, oggi si fa cupo e incerto per tutti. Lo denuncia in una lettera al Fattoquotidiano.it un genitore preoccupato, come tanti altri in città, dei riflessi della manovra sulle scuole d’infanzia e sui nidi. “Sono il frutto di un investimento collettivo che i cittadini hanno costruito pazientemente per anni, consapevoli che fosse il miglior investimento per il futuro dei propri figli.

Ora, senza il personale e i soldi la qualità che un tempo era il tratto distintivo della scuola reggiana non sarà più garantita”, scrive Roberto. Per capire cosa succede a Reggio e quanto sia motivato l’allarme dei reggiani bisogna parlare con il sindaco Graziano Delrio che è anche vicepresidente dell’Anci. Conosce perfettamente i saldi della manovra a livello nazionale e le ricadute specifiche per il suo comune. L’elenco dei tagli è impressionante.

“Nel 2011 avremo a disposizione 14 milioni di euro in meno – spiega Delrio – per cui o aumentiamo le tariffe o riduciamo i servizi: ma attenzione perché in molti comparti in cui eravamo un’eccellenza siamo già a rischio di collasso”. Esempio lampante è proprio quello degli operatori delle scuole d’infanzia e degli assistenti sociali. “Fino a tre anni fa il rapporto tra operatori e assistiti era ancora tale da garantire un servizio ottimale. Ora ci hanno ridotto i fondi e bloccato il turnover e la sostituzione maternità per stare dentro al tetto di spesa previsto dal patto di stabilità. Risultato: i circa 200 operatori del sociale attivi oggi hanno a carico 150 persone a testa. E’ chiaro che se ci costringono a tagliarne il 10% arriveranno ad avere 200 casi sociali da seguire. E sarà la fine del modello socio assistenziale di qualità in cui tanto abbiamo creduto e che tanto ha contribuito alla crescita di Reggio”.

Ma non ci sono neppure i soldi per mantenere le scuole che in città sono a norma quasi al 90% contro medie di altre città che non superano il 30-40%. Per garantire questo livello di sicurezza il Comune spendeva sei milioni l’anno. Ora per la manutenzione scolastica non si arriva a un milione. Lo stesso accade per il capitolo strade: per manutenzione ordinaria e straordinaria si passa anche qui da 6 a 1 milione di euro. La situazione è tale che i progetti infrastrutturali programmati sono stati congelati. Fino al 2010 Reggio spendeva circa 50/60 milioni di euro l’anno. Per il 2011 la cifra a bilancio è zero. Ed ecco che saltano una dopo l’altra le opere pubbliche programmate nel bilancio pluriennale. Nel capitolo dedicato alla cultura salta il rifacimento del Museo cittadino che si attendeva da anni. Era già approvato e finanziato. Salta. “Se spendo soldi lì devo toglierli ad altri capitoli e non voglio intaccare quelli sensibili del sostegno affitti, del supporto familiare, dell’accompagnamento degli anziani o del trasporto pubblico”.

Le due tangenziali che dovevano migliorare accesso e mobilità per fluidificare il traffico cittadino non si faranno più. I soldi spesi nei progetti? Forse toccherà buttarli. Non vedrà la luce neppure il parcheggio scambiatore che rientrava nelle politiche di incentivo all’uso dei mezzi pubblici. Due scuole da realizzare per far fronte alla crescita delle iscrizioni e della popolazione resteranno sulla carta. “Per la prima volta in sette anni sono molto preoccupato. Reggio sta perdendo quel patrimonio di servizi che ha permesso il suo sviluppo armonico. Abbiamo il primato delle piste ciclabili. Il consiglio d’Europa ci indica come il miglior esempio di integrazione multiculturale, siamo la prima città italiana da 250mila abitanti per raccolta differenziata. Ma tutto sta cambiando e sento che la gente si lamenta. Che velocemente stiamo regredendo, che stiamo diventando impotenti. Stretti tra la tenaglia di tagli e tetto di spesa non siamo più in grado di mantenere i primati di ieri ma neppure di contenere l’ingiustizia e la diseguaglianza sociale ed economica che si vede oggi e crescerà domani. Eravamo una città europea, finiremo ad essere una desolata città provinciale”. Se questo è il quadro si capisce come i rapporti col suo pittore non siano proprio buoni. “Ho detto a Berlusconi che da imprenditore sta sbagliando tutto. Non investire nei comuni significa fare la peggior operazione possibile per il Paese”.

E gli esempi sono davanti agli occhi. “Abbiamo 90 milioni di euro bloccati dal governo con cui dobbiamo pagare le imprese che hanno svolto lavori, erogato beni o servizi. E non possiamo farlo. Quei soldi, per un capriccio contabile, sono vincolati nei residui passivi. E le ditte falliscono. La gente perde il lavoro. In definitiva Berlusconi ha trasformato Reggio in un’azienda che ha una richiesta di ordini e di fatturato in crescita ma non può evadere le commesse perché gli viene proibito di investire in personale e macchinari. E questa politica è cieca e ingiusta perché il debito lo crea lo Stato centrale che si lascia libero di sperperare mentre si costringono i comuni a una dieta forza, che poi significa togliere servizi e diritti alla gente. La cicala suona il funerale alla formica”. Da qui la provocazione. “Certo sarei ben lieto di dare a Berlusconi la cittadinanza onoraria perché si trasferisse qui, a vedere da vicino l’effetto che fa”. L’invito è sempre aperto.

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