L’umanità si estinguerà nei prossimi cento anni. Lo ha dichiarato recentemente Frank Fenner, professore di microbiologia all’Australian National University. E’ uno degli scenziati che ha battuto il vaiolo, dunque non proprio l’ultimo arrivato. Fenner è convinto che l’esplosione demografica e il conseguente eccesso di consumi avranno come effetto il tracollo climatico. A quel punto sarà la fine. Prima o poi dovremo parlare di controllo delle nascite, che ci piaccia o no. Il pianeta è grande ma non infinito. Come sappiamo si tratta soprattutto di consumare meno, in modo diverso, già oggi. Ma prima o poi sarà inevitabile parlare anche di quantità di bocche da sfamare. Più prima che poi.

Tuttavia, nel frattempo, con urgenza, oltre che di quantità dovremmo parlare anche di qualità. E vorrei farlo con una domanda tanto semplice quanto provocatoria: come mai, per adottare un bambino, una coppia deve fare esami medici, test psicologici, colloqui, deve fornire garanzie di ordine economico, esistenziale, sentimentale, valoriale, sociale, e poi attendere per anni il vaglio di speciali commissioni… mentre chi i figli se li fa in casa può agire come crede, senza darsi e dare alcuna garnazia, chiunque egli sia? Quei bambini, quello adottato e quello procreato, hanno diritti diversi? Sono uno di serie A e uno di serie B? Il primo verrà cresciuto nella famiglia giusta, che è stata dichiarata idonea, che ha dato garanzie precise di amore e cura, mentre il secondo dovrà farsi il segno della croce e sperare di venire al mondo con un padre e una madre che, per sua fortuna, siano vagamente consapevoli di quel che fanno?

Ecco la mia domanda, impronunciabile e irriverente, provocatoria ma logica: come mai non si parla di valutare l’idoneità di una coppia a fare figli? Come mai nessuno si cura di verificare che una coppia sia in grado di mettere al mondo un essere umano? I risultati di questa mancanza di responsabilità sono sotto i nostri occhi quotidianamente: genitori pedofili, violenti, fragili, irresponsabili, incapaci di costituire un modello, un riferimento. Famiglie composte da genitori che non hanno la minima idea di dove si trovino loro stessi, di chi siano, di dove stiano andando, con quale idea, progetto, pensiero… mettono al mondo un figlio. E’ corretto? E’ giusto? Al bambino che nasce in quel caos esistenziale, chi glielo dice che “non è giusto interferire”? E perché il suo compagno di scuola, prima abbandonato poi adottato, ha potuto godere di un parere sulla famiglia adottiva, di una valutazione sulle condizioni in cui dovrà crescere, e lui sarà capitato bene o male per pura questione di sorte?

Già immagino i commenti: non possiamo permetterci di dire sì o no! Nessuno ha il diritto di dire quello che possiamo fare oppure non fare! Così andiamo verso una società sotto controllo!

Molto bene. Parliamone (possibilmente senza pregiudizi e senza urlare all’eresia. Cattolici, state calmi…). Soprattutto parliamone con un bambino che, senza colpa, viene allevato da un padre violento o da una madre sull’orlo di una crisi perpetua, oppure in condizioni di degrado sociale, magari sotto le grinfie di uno zio pedofilo o di chissà cos’altro. Chiediamogli cosa ne pensa e chiediamoci dove iniziano i diritti e dove iniziano i doveri di chi, invece che starsene buono a fare le sue cose nel suo angolino di mondo, decide che vuole fare un figlio e farlo diventare un altro cittadino di questo nostro straripante e folle mondo.

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