La parola “vulnus” affascina il politico. Si sente erudito, si sente sensibile, si sente ganzo. Se poi, detto vulnus, risulta essere “per la democrazia”, egli si sente nobile, si sente civile, si sente fico. Per Renato Schifani, in arte Lodo, un “vulnus per la democrazia” è costituito, per esempio, dal gruppo di liberi cittadini che, ieri, forse oggi e speriamo anche domani e dopodomani, ha inscenato una protesta, contro una “manovra” (prossimamente discuteremo anche di questa parola) economica che prevede un ulteriore impoverimento di ceti medi già proletarizzati e una quasi certa riduzione alla mendicità dei meno abbienti.

Ha “deprecato” (altro verbo caro alla politica), lo Schifani, già avvocato difensore di boss mafiosi, specializzato in recupero crediti e in scappatoie legali per potenti, ha condannato l’aggressività dei manifestanti. Li avrebbe voluti buoni e zitti, tutti in fila lontano dal Parlamento a chiedere, cortesemente, un’equa distribuzione di anestetici, per reggere la “ferita finale”: lo spettacolo di un governo che, sfiduciato da tutto il Mondo civile, impone la “fiducia” (altra parola che ha cambiato di senso), forte dei “numeri” comprati al mercatino degli scilipoti. È questo il “vulnus” che, come il cetriolo, finisce nel lato B dell’ortolano. Che siamo poi sempre noi: i vulnerabili.

Il Fatto Quotidiano, 9 settembre 2011

Articolo Precedente

Papà, c’è D’Alema. E’ in frac!

next
Articolo Successivo

Don Gallo e le parole che dicono qualcosa

next