L’11% del Pil cinese, nel 2008, dipendeva dalle esportazioni. Poi è arrivata la crisi, e le esportazioni sono calate del 40%.

I cinesi hanno capito che la crisi non sarebbe stato un pranzo di gala, e hanno capito che per uscirne l’unica strada percorribile era rilanciare il mercato interno. Nasce così un piano di investimento da oltre 500 miliardi di dollari, gran parte dei quali per produzione di energia da fonti rinnovabili. Tant’è che nel 2010 secondo il Wwf la Cina era il primo produttore di energia verde al mondo con una produzione quantificabile in 44 miliardi di dollari contro i 31 degli USA.

A metà ottobre del 2010 viene poi approvato il XII piano quinquennale. Avete capito bene, piano quinquennale. Cos’è? È uno strumento che serve a cercare di programmare lo sviluppo del paese. Roba da unione sovietica. Roba che dopo l’89 a noi sembrava archeologia. Avevamo capito tutto noi, altro che pianificazione, a salvarci la pelle dalla stagnazione sarà il mercato, guarda come se la godono gli americani che l’hanno capito prima di noi. I cinesi invece sono un po’ all’antica, pianificano, e cosa ci mettono dentro questa pianificazione? Crescita del 50% in 5 anni, crescita dei salari di almeno il 20% a partire dal 2011, riduzione delle tasse per i redditi bassi, con la prima fase scattata da pochi giorni e che ha visto aumentare la soglia della no-tax area da 2000 a 3500 yuan mensili (circa 300 euro). E poi 35 milioni di abitazioni a basso prezzo entro il 2015, in buona parte ristrutturazioni a carico dello stato di case popolari.

E così ad ammettere che la Cina non sarà più guidata dall’export, ma dai consumi interni, sono stati anche Goldman Sachs e l’Fmi.

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