Le difficoltà del segretario del Pd di questi giorni non sono dovute solo a fatti contingenti come il caso Penati, l’aggravarsi della posizione economica dell’Italia, o le tristi vicende interne al partito. No, c’è un altro motivo che rende la posizione di Bersani in bilico su un crinale dove da un lato c’è lo stato della sinistra che conosciamo, dall’altro il nulla.

Il motivo per cui Bersani – che è una brava persona e capace – non ce la fa è che il modello emiliano non è adatto al contesto socio economico attuale. E’ Darwin che lo dice: quando mutano le condizioni di un ambiente sopravvivono solo quelle specie che sono in grado di adattarsi al nuovo contesto. E la specie di cui Bersani è l’ultimo erede è quella che ho costruito il modello di società dell’Emilia Romagna. E Bersani non ce la fa perchè lui “è” il modello Emiliano.

Cosa c’entra il modello emiliano con la crisi attuale della sinistra?
C’entra perchè il modo di vivere emiliano è dagli anni Settanta che non solo viene portato a esempio come successo della sinistra al governo in Italia, ma viene riconosciuto come tale dalla società. Io sono nato qui e sono contento quando amici di varie parti d’Italia che sono venuti a vivere in questa regione sono sorpresi dalla qualità della vita che c’è qua, dall’efficienza dei servizi ecc. Non si tratta solo di migranti dal Sud, ma anche dalle regioni del Nord. In Emilia Romagna si vive bene: questa è la sintesi.

Ma se è cosi, e tralasciando tutte le eccezioni e le diseguaglianze che pure ci sono, perchè il modello emiliano avrebbe fallito? Sembrerebbe proprio il contrario.

Questo modello ha fallito due motivi principali:

1. Il modello di efficienza emiliano non è sostenibile dato il contesto economico attuale
Si tratta di un modello di efficienza “alla tedesca” che consiste in una distribuzione  intelligente delle risorse (sanità, asili, sostegno alle imprese, ecc.). Tutto ciò funziona se ci sono risorse da distribuire. Fino alla crisi economica del 2008 queste risorse c’erano. Ora, grazie ai borsaioli della finanza e ai vincoli internazioni sul nostro debito statale, si sono volatilizzate. E se non c’è più niente da distribuire chi ha fatto questo lavoro tutta la vita non ha più nulla da fare. In altre parole il pensiero di efficienza sociale che ha guidato la redistribuzione del reddito non serve più quando non c’è più niente da redistribuire.

Di questa ragione Bersani non è responsabile. Lui – e tutti quelli come lui – si trovano nell’occhio del ciclone di una crisi che parla una lingua completamente diversa da quella che conoscono. Il prossimo 29 settembre Bersani compierà sessantanni. Ma a sessant’anni è difficile, molto difficile, imparare una nuova lingua. Ci si può riuscire, con fatica, ma si tratta di un percorso individuale. Di sicuro non lo si può fare trascinandosi dietro tutta la zavorra che c’è non solo nel PD, ma anche in tutte le consorterie politico economiche che in questi anni si sono agganciate al modello emiliano. I nomi è inutile farli. In ogni città chi li vuol conoscere li conosce.

2. Le consorterie sono il masso legato al piede di Bersani
In Emilia Romagna si vive meglio. E’ vero. I risultati di oggi, però, sono il risultato di un modo di governare capace di gestire il ricambio nella classe dirigente: era la rigida struttura del Partito Comunista Italiano che se ne occupava. Dalla fine degli anni Settanta, però, si è interrotto quel processo. Gli attuali amministratori in Emilia Romagna sono quasi sempre il frutto di quella storia e spesso pressochè coetanei di Bersani. Sono l’ultima generazione dotata di un pensiero di governo della società. Dopo di loro il nulla. Senza una qualche selezione della classe politica la politica è diventata solo un luogo per distribuire il potere. A chi? Agli amici, a chi conveniva, all’imprenditore che finanziava una campagna elettorale in cambio di una variante al piano regolatore ecc.

Il tutto è avvenuto in modo un po’ meno sguaiato di quel che è accaduto a destra con l’avvento di Berlusconi. Ma il senso di innavicibilità che hanno certe istituzioni, il fatto di sapere già prima come andranno certi bandi, la rotazione degli amici dal consiglio comunale a quello provinciale e poi in regione o a dirigere una azienda partecipata, questo gioco è noto a tutti. E produce un effetto di separazione tra i cittadini e la classe politica che non sarà senza conseguenze.

Chi ci salverà?
Nessuno. Questa è la risposta vera. Non ci salverà Bersani, ma non ci salveranno neppure Grillo e Travaglio, perchè questa crisi ha una caratteristica inedita: è cambiato il linguaggio e ci mancano le parole per parlarne. E se non si hanno le parole non si riescono nè a descrivere i problemi nè a trovare le soluzioni.

Oggi si parla troppo di una politica che è già finita, ma che non vuole sapere di andarsene, di una economia che è gestita da una banda di rapinatori, e da una società che è gestita dai vecchi. Non gli anziani poveri che fanno la fila alle mense della Caritas, ma quelli che con le loro rendite di posizione rubano il futuro ai giovani. Quelli che per non mollare nulla impediscono ai loro stessi figli di vivere.

Il caos che ci aspetta non sarà Bersani a gestirlo. Spero con tutto il cuore non sia un novello emulo di Mussolini. Magari travestito da tecnocrate finanziario: l’uomo nuovo per il terzo millennio.

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