Cari lettori,

Sono da poco rientrata da un viaggio in Messico, dove mi ero recata come parte di una delegazione del Robert F. Kennedy Center for Justice and Human Rights, l’organizzazione intitolata a mio padre che si occupa di promuovere i diritti umani nel mondo. L’Rfk Center diventa partner di attivisti per i diritti umani di tutto il mondo, considerati i Martin Luther King e i Gandhi dei loro paesi, che lottano coraggiosamente a favore del movimento per i diritti umani. Li premiamo con il Robert F. Kennedy Human Rights Award e ci impegniamo con loro in partnership di lungo periodo per sostenere il loro lavoro.

Il vincitore 2010 del Rfk Human Rights Award è Abel Barrera Hernándezcon il quale abbiamo visitato lo stato messicano di Guerrero. Questa è una lettera che ho scritto alle mie tre figlie sulla delegazione, un’esperienza per me straordinaria. Vorrei condividerla con voi.

Care Cara, Mariah e Michaela,

Ho passato la scorsa settimana in Messico con il vincitore del Rfk Human Rights Award 2010 Abel Hernández Barrera e la sua squadra del Centro de derechos humanos de la montaña Tlachinollan, visitando le comunità indigene nella regione montagnosa di Guerrero, l’area più povera dello stato più povero del paese. Essere indigeni a Guerrero è come essere afro-americani in Mississippi 50 anni fa. Le persone a malapena sopravvivono nella più completa povertà e la fame è dilagante. Il razzismo ha una lunga, brutta storia e una forte presa sul presente. Coloro che osano dire la verità al potere sono minacciati, imprigionati, torturati, fatti sparire, violentati e uccisi in assoluta impunità.

Abel e il suo team del Tlachinollan sono i leader dei diritti civili dei nostri tempi. Armano le comunità con il loro attivismo, individuano gli abusi, confrontano i perpetratori e avanzano sotto la costante minaccia di morte. Sono avvocati di gratuito patrocinio, avvocati difensori, organizzatori di comunità, attivisti ambientalisti. Lo staff del Tlachinollan si confronta sia con i gruppi indigeni che di contadini, e si adopera per migliorare l’accesso alla rappresentanza legale, alla sanità, alle case, all’istruzione, alle fognature, all’elettricità e altro. La crescente violenza, collegata ai recenti sforzi del governo messicano per combattere il narco-traffico, ha portato Abel a condannare l’eccessiva militarizzazione e a denunciare le violazioni. In cambio, lui e i suoi collaboratori sopportano minacce e violenze crescenti.

Ho parlato con Inés, una donna violentata dai militari mentre altri due soldati stavano di guardia. Malgrado tutto, ha portato avanti coraggiosamente la sua rivendicazione contro gli aguzzini. L’anno scorso, la Corte Interamericana dei diritti umani ha emesso un giudizio secondo cui il suo caso deve essere trasferito dalla giurisdizione militare a quella civile. Proprio il mese scorso, la Corte Suprema del Messico ha confermato tale decisione. Per tutta risposta, l’esercito messicano ha rilasciato un comunicato congiunto con l’ufficio del presidente e del ministro della Giustizia, che mina il parere della Corte Suprema definendolo un mero “criterio orientativo”. Il ministro della Giustizia non si è mosso, e il caso rimane nella giurisdizione militare, dove langue da nove lunghi anni.

Ho incontrato due donne i cui mariti, Raul e Manuel, presidente e vicepresidente della Organizzazione per il futuro del popolo mixteco (Ofpm), sono stati assassinati dopo aver denunciato abusi dell’esercito e crimini contro natura. Queste vedove si chiedono come riusciranno a nutrire i propri bambini. Dei vicini hanno dato a una delle due donne cinque sacchi di grano, non abbastanza per sopravvivere: avrebbe bisogno di $ 2.200, una somma impossibile da ricavare nella sua comunità, per costruirsi una casa in un luogo dove può trovare lavoro.

Ho incontrato un altro organizzatore di comunità e difensore dei diritti umani che mi ha raccontato che gli hanno sparato otto volte come rappresaglia per aver tentato di incriminare per spaccio di droga e furto un membro della locale élite di potere. Una coppia sposata che ho incontrato, entrambi leader della Organizzazione per il popolo indigeno Me’Phaa (Opim), è nascosta per proteggersi dalle continue minacce di morte ricevute per la richiesta di messa in stato di accusa di militari per abusi.

Coloro che osano reclamare per i diritti fondamentali corrono i rischi maggiori. Il loro coraggio ricorda quello di John Lewis, Rosa Parks e Martin Luther King Jr, difensori e organizzatori negli Stati Uniti che hanno messo le loro vite a rischio per gli altri. Come questi difensori, anche i leader dei movimenti indigeni sono stati presi di mira e attaccati.

Di fronte a questi attacchi, l’agio con cui le autorità convivono con l’ingiustizia è sbalorditivo. Nella città di Ayutla, ho incontrato un difensore che ha passato due anni in prigione per un crimine che non aveva commesso, rilasciato dopo che l’accusatore ha ammesso di essersi inventato l’accusa contro 15 membri dell’Opim. Ho chiesto perché il ministro della Giustizia non lasci cadere le accuse anche contro tre uomini ancora sotto mandato di arresto per la stessa falsa accusa. Il ministro ha mostrato una sorprendente mancanza di interesse per la giustizia. “Oh, non si preoccupi”, mi ha assicurato. “Non passeranno in prigione più di 72 ore”.

Mi ha rincuorato la promessa del neo eletto governatore di Guerrero, Angel Aguirre, di acconsentire a ogni nostra richiesta, ma il nostro ottimismo è durato poco. Ho ricordato al governatore che l’ufficio satellite del Tlachinollan nella città di Ayutla, chiuso per due anni dopo l’assassinio di due difensori dei diritti umani locali, ha riaperto in giugno solo dopo che il governatore ha garantito la sua sicurezza. Nonostante questo, gli agenti di polizia assegnati all’ufficio sono rimasti presenti solo per quattro giorni  e non si sono fatti vivi da allora. “Saranno lì questo pomeriggio!” ha dichiarato. Quando siamo partiti, cinque giorni dopo, non c’erano poliziotti in giro. (Una buona notizia: dopo che questo scambio è apparso sulla stampa nazionale sabato mattina, due agenti di polizia sono comparsi all’ufficio, e stazionano lì da allora).

Inés è andata a un incontro faccia a faccia con il governatore. “Ah sì”, mi ha detto, “lo presiederò io stesso, chiederò alle autorità federali di venire, e anche il Tlachinollan sarà presente” per assicurare che tutti siano in accordo sui prossimi passi da compiere nel suo caso. Quando Abel ha chiamato per organizzare l’incontro, il delegato ha spiegato che il governatore è troppo occupato, ma che lui avrebbe potuto incontrarli.

Tutta questa violenza, la doppiezza, e l’impunità avvengono in un contesto di orribile povertà e marginalizzazione delle popolazioni indigene nel Messico rurale. In molta parte della regione della Montaña, come in molte comunità indigene in tutto Guerrero, l’accesso ai servizi di base è pressoché inesistente.

Un uomo che ho conosciuto ha lasciato casa sua all’una di notte per scendere dalla montagna con sua moglie e il figlio di due anni, per raggiungere la più vicina farmacia alle 8 di mattina in cerca di una medicina per la dissenteria. La farmacia era chiusa. A una comunità è stato detto che gli studenti avrebbero dovuto portarsi sedie e banchi a scuola, comprare una cattedra per l’insegnante e pagargli lo stipendio, anche se tutto questo dovrebbe essere fornito dal governo. Quando la comunità è riuscita a superare tutti questi ostacoli, invece di inviare un educatore, il governo ha inviato uno studente part-time, incaricato anche della manutenzione.

Per questi bambini indigeni, non esistono libri che insegnino le lingue, tradizioni e storie indigene, o che studino personaggi indigeni storici. A scuola si insegna in spagnolo, e gli studenti sono spesso messi in imbarazzo per i quartieri, la lingua e le radici indigene. Nel mezzo della dilagante povertà, dice Abel, questo trattamento equivale a “genocidio culturale”.

Nella nostra area dello Stato di New York una strada sterrata è considerata pittoresca, e i valori delle case sono assai più alti che quelli delle case lungo le strade asfaltate. Ma non c’è nulla di pittoresco nel viaggio in auto che abbiamo fatto da Metlatónoc a Xalpatlahuac. La strada a una corsia è lunga due chilometri, e abbiamo impiegato più di un’ora a schivare buche grandi come vasche da bagno, macigni elefanteschi e fango altissimo. Le comunità prive di strade pavimentate hanno scarso accesso agli approvvigionamenti di cibo, abbigliamento, medicine, lavoro, o materiali per costruzioni, e possono rimanere isolate per mesi durante la stagione delle piogge.

A Xalpatlahuac, padre Mario ha riunito un gruppo di oltre 70 catechisti, che hanno aspettato per tre ore il nostro arrivo, mentre ritardavamo a causa delle strade sterrate e  delle colate di fango. Non hanno perso tempo e avevano già stilato una lista di temi da discutere con la nostra delegazione. Padre Mario ha descritto ogni tematica, e poi due o tre membri della delegazione si alzavano e raccontavano le loro esperienze e le sfide nella vita di tutti i giorni. Varie persone hanno raccontato che una famiglia a Città del Messico può pagare anche meno di 100 pesos al mese per l’elettricità, mentre la stessa famiglia nelle montagne, con tre lampade, può pagare svariate migliaia di pesos in più. Una donna ha raccontato di come ha iniziato a cucire vestiti per creare reddito, ma che l’elettricità per la macchina da cucire costava più di quanto riuscisse a guadagnare dalla vendita dei vestiti che produceva.

Molti altri hanno parlato dell’assegnazione da parte del governo federale di concessioni minerarie su terre indigene considerate sacre. Queste concessioni sono assegnate senza consultare, chiedere permessi o redigere una pianificazione per la spartizione delle entrate con le comunità indigene. La dissacrazione ambientale è una grande preoccupazione.

Altri ancora hanno parlato della perdita di interi quartieri a causa delle migrazioni, sia in Messico verso i campi agricoli del nord, che a “Tlapa York”, meglio nota come Manhattan e Queens, dove tante famiglie indigene di Guerrero sono state obbligate ad andare per cercare lavoro. Le vedove delle migrazioni sono abbandonate e devono provvedere a se stesse e ai figli. Le comunità sono dilaniate. Nei campi, le condizioni sono ancora più orribili che nei villaggi abbandonati, dove uomini e donne indigene diventano servitori a contratto per i loro datori di lavoro, e le famiglie devono affrontare il furto dello stipendio, il lavoro minorile e violenze sessuali.

In mezzo a tutto questo, Abel e i suoi collaboratori lottano ogni giorno. Incredibilmente, non ricordo di aver mai incontrato un gruppo di amici più allegro. Lavorano duro, ridono facilmente e possono contare assolutamente uno sull’altro. È uno spettacolo mozzafiato e un vero tributo allo spirito umano. Quando ho chiesto ad Abel cosa lo sostiene, mi ha parlato dello spirito di comunità che lui e i suoi colleghi hanno appreso dalle popolazioni indigene delle montagne, che condividono tutto quello che hanno e vivono a beneficio della collettività, dei loro fiumi, delle loro foreste e delle loro montagne. Le parole appese sul muro dell’ufficio del Tlachinollan  suonano vere: “La montagna fiorirà quando la giustizia abiterà tra i popoli Me’Phaa, Na Savi, Nauas, Nn’anncue, e Mestizo”.

Cara, Mariah e Michaela, ricordate sempre che le nostre vite sono più belle quando questo tipo di amicizia ci unisce tutti. Questo è lo spirito dietro alla vera giustizia – che ci curiamo degli altri affinché siano trattati con dignità, come vogliamo essere trattati noi. Abbiamo trovato nuovi amici in Abel e al Tlachinollan e non vedo l’ora di condividere questa amicizia con voi.

Con tutto il mio amore,

Mamma

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