Siccome nessuno sa che i servizi di cui godono i cittadini sono pagati con le entrate fiscali; e siccome nessuno capisce che chi le tasse non le paga ma gode comunque di quei servizi è un fiero farabutto che vive a spese della collettività; ecco che il ministero dell’Economia ha pensato bene di spiegare questi concetti con spot radiofonici e televisivi.

Per carità, se due evasori, convinti da questi spot, pagheranno il dovuto saremo contenti. Certo, se la lezioncina arrivasse da un governo non presieduto da un tizio che ha spiegato all’Italia che lui aveva 64 società off shore che gli servivano per non pagare le imposte; e che, oltre il 35 per cento di aliquota, l’evasione fiscale è legittima difesa; ecco, sarebbe stata recepita meglio, come dire, senza sorrisi beffardi.

In ogni modo sempre di una cosa ridicola si tratta. Per indurre qualcuno a pagare le imposte occorrono i tre seguenti presupposti:

1 – una casta politica di specchiata virtù; perché, se un ladro mi spiega che non devo rubare, io lo mando a quel paese;
2 – un controllo effettivo su tutti i contribuenti per stanare gli evasori;
3 – un apparato sanzionatorio efficace e spaventevole, in modo che chi, nonostante i controlli efficienti, ci prova lo stesso, finisca i suoi giorni in galera; così nessun altro segue il suo esempio.

Ovviamente nessuno di questi presupposti sussiste e quindi lo spot è, come ho detto, una cosa ridicola.

Sul primo presupposto non vale la pena di sprecare parole: abbiamo una classe politica a livelli minimi di etica e credibilità: Transparency International ci ha messo al posto n. 67, dietro Ruanda e Samoa. E che i nostri politici non siano in grandissima parte in prigione dipende solo dal fatto che il processo penale è ridotto a una tragica farsa.

Sul secondo presupposto, c’è poco da illudersi: i controlli sulle dichiarazioni dei redditi ammontano, per anno, al 10 per cento del totale; detto in modo più efficace, l’evasore sa che ha il 90 per cento di probabilità di farla franca. Come giocare al lotto e avere il 90 per cento di probabilità di portarsi a casa il jackpot. Inoltre, fino ad ora, abbiamo avuto una media di condoni fiscali, indulti, sanatorie, scudi e altri fantasiosi istituti cosiddetti perdonistici (pagami il 5 per cento di quello che hai evaso e siamo pari e patta) pari a uno ogni quattro anni, con un termine di prescrizione dell’accertamento fiscale di cinque anni, in genere integralmente sfruttato dagli uffici delle Entrate. Insomma, l’accertamento si fa, quando si fa, al 4°/5° anno dall’anno d’imposta esaminato, con i primi 3 o 4 anni integralmente condonati. Immaginate l’efficacia di questi controlli. Perché, in una situazione come questa, un evasore dovrebbe rinunciare a evadere proprio non si capisce.

Il terzo presupposto è quello che mi fa arrabbiare di più. Come suol dirsi, la fortuna è cieca ma la sfiga ci vede benissimo; e qualcuno, pochi pochi ma qualcuno sì, alla fine lo becchiamo. Abbiamo l’evasore. E che gli facciamo? Niente. Sul piano tributario ho già detto: i condoni e il tempo gli assicurano una gloriosa conclusione del contenzioso. Sul piano penale tutto è strutturato perché l’evasore se ne torni felice e contento a casa con tante scuse. Prima di tutto ci sono le soglie di punibilità: se non ha evaso, per anno, imposte maggiori di 77.000 o 103.000 euro (frode fiscale o dichiarazione infedele), non lo si può processare: non ha commesso alcun reato! Siccome in genere l’imposta è pari alla metà del reddito evaso, stiamo parlando di gente che ha fatto “nero” per 150.000, 210.000 euro (per anno!) e che il nostro munifico Stato considera peccatori veniali, da lasciar perdere, da non “accanirsi”; e che sarà mai? Poi c’è la prescrizione: i vari reati di evasione fiscale si prescrivono in 7 anni e mezzo; siccome si scoprono 4, 5 anni dopo che sono stati commessi, la giustizia ha tempo due, al massimo tre anni, per fare indagini, primo grado, appello e Cassazione. Così l’unica pena concreta dell’evasore, quello grosso, quello che evade imposte superiori a 100.000 euro all’anno, è la parcella dell’avvocato. Per il resto lo Stato spende soldi per arrivare a una sentenza che dichiari la prescrizione. Per finire c’è il munifico regalo al popolo della partita Iva che, quando fa il “nero”, non commette frode fiscale ma dichiarazione infedele. Beh, direte voi? Eh, c’è una piccola differenza: pena massima 3 anni contro 6. Già fa ridere la pena della frode (chiedete negli Stati Uniti), figuriamoci i 3 anni (che poi diventano, con attenuanti e patteggiamento, un anno e 4 mesi).

E noi facciamo gli spot e tagliamo sulle pensioni e sui lavoratori dipendenti. Il che non è meno schifoso solo perché, nella situazione sopra descritta, è l’unica cosa da fare. Gli unici che gli si può fare qualsiasi cosa perché tanto non possono materialmente evadere, sono lavoratori dipendenti e pensionati; far pagare le imposte al popolo delle partite Iva evidentemente è impossibile.

Che si fa? L’ho già scritto: detrazione totale, pagamenti con carta di credito o bancomat, tracciabilità totale, dichiarazioni dei redditi fatte in automatico dal software di Stato, pene da 10 a 20 anni di galera per chi, nonostante tutto, ci prova. E magari questo si potrebbe anche riuscire a farlo. È a moralizzare la classe politica che proprio non ce la si fa.

Il Fatto Quotidiano, 13 agosto 2011

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