Il ceto medio urbano impoverito di Atene riscopre il campeggio libero. Nel mezzo della crisi non si rinuncia alle vacanze, e soprattutto ai fine settimana. Vivo la situazione visitando Eubea, la grande isola collegata con un ponte alla terraferma a poco più di un’ora di auto da Atene. Qui il turismo è tutto greco, arriva dalla megalopoli che supera i quattro milioni di abitanti e che ribolle nella crisi. In fondo alle spiagge più belle e selvagge della costa egea di Eubea , o accanto alla foce di fiumi attualmente senz’acqua ma circondati da alberi ecco apparire i campeggi che ufficialmente non ci dovrebbero essere.

Panos, animatore per bambini, Elèni, addetta alla telefonia, Matta, ereditiera precaria, hanno occupato la minuscola spiaggetta tra una grotta e il mare, e alla sera grigliano salsicce e verdura. Elèni ci mostra registrate nel telefonino le immagini video di sé stessa con altri manifestanti contro la crisi che ballano il Sirtaki davanti al Parlamento. L’adiacente spiaggia grande di Hiliadou pullula di piccole tende affiancate, con evidente presenza di gay e nudisti. Tutto è pulito e autodisciplinato senza troppo rumore. In alcuni punti della spiaggia arriva il segnale del cellulare e qualcuno consulta l’ iPhone. Accanto alla foce del  fiume in secca di Hiliadou, dove si riesce a portare l’auto proprio davanti alla tenda, sono invece più presenti famiglie con bambini e pensionati, e di fronte è aperto un negozio che ha un po’ di tutto, proprio come nei camping.

La polizia potrebbe prendere  i nomi e dare le multe, ma ultimamente non lo fa più.  Certo, le tende sottraggono un po’ di spazio ai bagnanti senza tenda, ma non è lo spazio a mancare, sulle coste greche. La pulizia, con i nuovi livelli di consapevolezza ecologica, è superiore a quella di spiagge di altri contesti senza campeggio. Resterebbe il problema dei bisogni corporali, ma tra il mare, i gabinetti dei compiacenti ristoranti delle spiagge, e qualche discreto uso di tratti di macchia mediterranea , quasi non ci si accorge della questione. Cerco di ricordarmi come è regolamentata la questione in Italia. Il campeggio è consentito laddove non è vietato, o è vietato laddove non è consentito? E in base a quali criteri? Il ritorno al campeggio libero – a condizione di non sporcare – non potrebbe essere una condizione sostenibile e sociale di un turismo popolare ecologico?

Io intanto ad Eubea ne approfitto felicemente, a pochi metri dal mare aperto fa un benefico fresco la sera.

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