Si chiamano pinguini di Humboldt e vivono principalmente sulle coste peruviane e cilene affacciate sull’oceano Pacifico. All’acquario di Cattolica ne esistono una dozzina, fatti tutti nascere in ambiente controllato e non prelevati dal loro habitat naturale.

Saranno proprio questi piccoli pennuti ad accogliere il 13 e 14 agosto, tra le vasche dell’acquario romagnolo, una rappresentanza di loro fratelli provenienti dal mondo immaginario de I pinguini di Mr. Popper, ennesimo e discutibile tassello promozionale di uno dei film scelti dalle grandi major americane del cinema per inaugurare il floscio mercato italiano del Ferragosto.

Il grande dispiegamento di forze che oggi ruota attorno alla promozione cinematografica sfrutta persino la spettacolarizzazione di un animale che avrebbe probabilmente voglia di fare tutto fuorché mettersi a fare il simpatico davanti ad orde di squittanti bambini in vacanza.

Ma tant’è che l’animaletto buffo è diventato un vero e proprio “must” del cinema contemporaneo. Così si è passati dai Furia, Rin Tin Tin e Lassie, dell’epoca d’oro della tv americana anni cinquanta-sessanta, fino al più recente mercato del cane, poliziotto e non solo. La presenza in carne, ossa e pelo si è ripetuta poi fuori dal set, con vere e proprie sessioni espositive che hanno sottoposto placidi segugi o pastori tedeschi alle luci dell’effimero showbiz, magari con sosia su sosia (vedi i Rex moltiplicati che nemmeno i sosia di Bin Laden).

Per I pinguini di Mr. Popper, però, siamo più sulla recente linea Disney. L’antropomorfismo dell’animale ricreato con i pixel risulta un affare in termini commerciali davvero infinito. Nel film diretto da Mark Waters, l’uomo d’affari che ne è protagonista (un Jim Carrey più James Stewart che Ace Ventura) riceve in dono dal padre esploratore appena deceduto tra i ghiacci nordici una cassa con un pinguino. Mr. Popper dovrà improvvisarsi educatore e allevatore di ben sei pinguini rimodellando il proprio attico di Central Park come un ghiacciato lembo di terra antartica.

I pinguini di Mr. Popper sono comunque pupazzetti modellati con le tecniche digitali della Rhythm and hues, che già si erano adoperati per l’altro film “pinguinesco” Happy Feet. Se invece vogliamo rendere onore al merito a qualcuno che ha preferito non rompere le scatole ai pinguini, ma ha provato a documentarne il ciclo vitale, citiamo Luc Jacquet che con La marcia dei pinguini era riuscito nel nobile intento etnografico (poi viziato nella versione italiana dall’inutile doppiaggio comico di Fiorello).

Ad ogni modo l’acquario di Cattolica aspetta tutti coloro i quali hanno voglia di stare vicini ai pinguini di Humboldt senza dover andare fino in Perù. Con l’avvertenza di non chiedere sempre l’impossibile a questi poveri animali, costretti a vivere in mezzo agli umani, non sempre razza intellettualmente superiore.

(d.t.)

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