Chi ha vinto la battaglia sul debito? Se lo chiedono – tre giorni dopo la firma dell’accordo – analisti, politici, i protagonisti stessi dello scontro. Le opinioni variano, a seconda degli orientamenti e delle appartenenze di partito. Su un fatto sono tutti d’accordo. C’è un solo, vero vincitore, che nei prossimi mesi è destinato con ogni probabilità ad aumentare ulteriormente la sua influenza, e si chiama Tea Party. “Il trionfo del Tea Party”, ha titolato “The Daily Beast”. “I nuovi deputati vicini al Tea Party hanno drammaticamente cambiato Washington”, ha spiegato Whit Ayres, sondaggista repubblicano. La capacità di influire sull’accordo è stata tale che il vicepresidente Joe Biden, in una riunione riservata poco prima del voto, è andato su tutte le furie e ha definito il Tea Party “un branco di terroristi”. “Non hanno fatto altro che ricattare il Paese”, ha detto Biden, tra i principali artefici del piano.

Il dibattito sul debito segna davvero l’entrata del Tea Party nella politica più ad alto livello di Washington, e la sua capacità di influenzare il modo stesso in cui le leggi sono discusse, pensate, scritte. E’ una realtà che riflette i più recenti rapporti di forza. Il Tea Party è l’unico movimento popolare, populista, dal basso, emerso dopo il collasso dell’economia nel 2008. Di più. Nella crisi generale dei gruppi progressisti e anti-guerra, il Tea Party è probabilmente il solo movimento popolare e dal basso rimasto in circolazione, con un’organizzazione capillare e diffusa sul territorio, un nucleo di propri deputati, una rete di finanziatori che dai grandi miliardari liberisti arriva sino al popolo dell’America del Sud, dell’Ovest, del Centro, da sempre insofferente di Stato e tasse.

“Il Tea Party ormai governa Washington”, ha scritto Peter Beinart, analista di “Time”, per definire la nuova realtà politica americana. Le truppe del liberismo conservatore sono del resto favorite, nella loro ascesa, dall’evoluzione della società e della politica americana. L’elezione di Obama, la minor risonanza del terrorismo internazionale, le risorse limitate hanno mandato in soffitta la war on terror. Il Tea Party è un movimento post-guerra del terrore. Molti dei suoi nuovi deputati, eletti lo scorso novembre, sono indifferenti, se non apertamente ostili, alle guerre in Iraq, Afghanistan, Libia. Questo dà ai nuovi conservatori più libertà di movimento. George W. Bush, in cambio dell’espansione della spesa militare e della sicurezza, aveva riconosciuto un parallelo allargamento della spesa nazionale (soprattutto sanitaria). Il Tea Party non ha bisogno del vecchio baratto. Senza guerre da promuovere, può dedicarsi al suo rovello e alla sua missione: ridurre il debito, tagliare le tasse, smantellare il Welfare americano.

E’ così che, in occasione della discussione sul debito, i deputati vicini al Tea Party hanno tenuto in scacco la politica americana. Il loro rifiuto ostinato di fare concessioni su nuove tasse (persino la fine dei benefici fiscali per ricchi e corporations decisi da George W. Bush) ha creato uno stallo di settimane e condotto a una delle manovre più conservatrici mai concepite e votate sotto un presidente democratico. “Obama ha adottato il linguaggio dei repubblicani, e in alcuni casi le loro politiche”, ha scritto il “New York Times” per raccontare un piano che nei prossimi dieci anni decimerà la spesa per sanità ed educazione. Il collasso dei valori progressisti è stato tale che un senatore della sinistra democratica, Dick Durbin, ha detto di aver dovuto consultare il suo cappellano, per convincersi a votare una manovra “che è contraria ai miei valori più profondi”.

“Il Tea Party è riuscito a imporre un’idea: e cioè che tagliare il debito, non creare nuovi posti di lavoro, sia il problema centrale degli Stati Uniti”, ha scritto Ruy Teixeira del “Center for American Progress Action Fund”. E’ un’idea che ormai modella il dibattito pubblico americano, e che promette di trasformare il sogno di un nuovo New Deal, guidato dal democratico Obama, in un’era di sempre maggiore limitazione dei diritti sociali. La vera grana, a questo punto, è però più dei repubblicani che dei democratici. La leadership repubblicana ha usato e lusingato la base del Tea Party. A questo punto la creatura ha però cannibalizzato il creatore. Dei candidati repubblicani alle prossime presidenziali, solo uno, Jon Huntsman, ha appoggiato l’innalzamento del tetto del debito. Tutti gli altri hanno rincorso il “conservatorismo fiscale” del Tea Party. La stessa cosa vale per senatori come Orrin G. Hatch, tradizionali esponenti dell’establishment repubblicano, che negli ultimi tempi hanno rincorso le posizioni del Tea Party nel timore di vedersi superare a destra alle prossime elezioni.

“Conviene abbracciare l’energia politica del Tea Party? Rischiando così di perdere il voto degli indipendenti?” Se lo chiede Whit Ayres, il sondaggista repubblicano, insieme a molti altri compagni di partito, il giorno dopo il trionfo politico.

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