Mentre la giustizia italiana affoga sotto una montagna di carte (e di condanne per la cosiddetta legge Pinto, che sanziona l’eccessiva durata dei processi) i giudici amministrativi (cioè quelli in servizio presso i Tar e presso il Consiglio di Stato) non rinunciano alla vacanza estiva di tre mesi, settimana più, settimana meno.

Infatti, se il periodo di sospensione delle udienze previsto dalla legge va dal 1 agosto al 15 settembre di ogni anno, per la quasi totalità dei giudici amministrativi l’ultima udienza è stata celebrata nella prima metà di luglio e la successiva sarà nella seconda o terza settimana del mese di ottobre, salvo, magari, una sporadica presenza di uno o due giorni al massimo per la cosiddetta udienza feriale, in cui, però, non si scrivono sentenze “ordinarie”, ma solo provvedimenti urgenti.

Come se non bastasse, siccome i giudici del Tar e del Consiglio di Stato fanno solo due udienze al mese, e sono di norma autorizzati a risiedere in altre città, in ufficio si vedono sì e no sei giorni al mese. Ma, tra un’udienza e l’altra, capita di vederli andare in vacanza (anche all’estero), anche se formalmente sono in servizio; tanto possono lavorare dove vogliono, non avendo l’obbligo di recarsi in ufficio. I danni da ritardo nel processo, che ammontano a milioni di euro ogni anno, invece, li paghiamo tutti noi.

Il tutto, dicevo, mentre in questi giorni la principale preoccupazione dei magistrati amministrativi sembra essere la decurtazione dello stipendio (che ha coinvolto tutti i pubblici dipendenti, a causa della crisi), e rispetto alla quale, comunque, si sta già ipotizzando un rimedio. Le associazioni di categoria, in particolare, propongono meccanismi di assegnazione straordinaria delle cause, con una sorta di retribuzione dello “straordinario” (rispetto a che?).

Qualche magistrato, invece, fa da sé: è il caso di Roberto Proietti, che oltre al proprio lavoro di magistrato è il coordinatore giuridico della struttura di missione del Ministero delle Infrastrutture e che si è fatto recentemente autorizzare anche un incarico di “ricerca di giurisprudenza” per l’ordine degli architetti di Roma, per ben 5.000 euro. O di Filippo Patroni Griffi, che si consola con un arbitrato da oltre 500 milioni di euro di petitum. O, ancora, di Umberto Maiello, che, godendo di una riduzione dello sgravio di lavoro in quanto membro dell’organo di autogoverno, trova poi il tempo di arrotondare il già pingue stipendio  con un triplo lavoro presso l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (per ulteriori 35mila euro annui). Gli esempi sarebbero davvero troppi per riportarli tutti.

Diviene però comprensibile, allora, che questi magistrati, triplicando il lavoro, abbiano bisogno di triplicare anche le ferie, per riprendersi dalle fatiche.

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