di Federica Colonna
Spider Truman, fantomatico fustigatore della casta armato di profilo Facebook, Twitter e di un blog, non ha certo il merito di aver svelato qualche indicibile segreto ma semmai quello di aver dato una scossa al dibattito sull’anonimato online. Il tema è centrale nella discussione internazionale, perché utile capire in che direzione sta andando la comunità connessa, quali spinte evolutive stanno caratterizzando l’intelligenza collettiva.

Per il New York Times stiamo assistendo a una ridefinizione del concetto di anonimato digitale. Se fino a pochi anni fa il web è stato lo spazio dei senza-nome, la terra degli Zorro, ora, grazie ai social network, Internet è diventato una vera grande piazza in cui ciascuno è riconoscibile. È possibile risalire all’identità di chiunque seguendo la traccia che lascia lungo Twitter, Flickr, Anobii. «Ciascuno di noi ha un’impronta sociale o la genera in pochi secondi», spiega Claudio Anosti Vecna, attivista e ricercatore indipendente intervistato in Hacker. Il richiamo della libertà da Giovanni Ziccardi. «Anche chi vuole essere anonimo ne ha una e quella specifica traccia potrà essere correlata a una sola altra persona al mondo: se stesso con un’ulteriore identità». Ogni individuo è un link all’interno di una rete di relazioni e adotta comportamenti unici e irripetibili attraverso i quali disegna la mappa della propria esistenza. Le foto taggate, il commento allo status di un amico, i tweet, sono l’equivalente delle impronte digitali. Così, per esempio, la kissing couple di Vancouver è stata identificata in poche ore e i due giovani fotografati in un romantico bacio mentre alle loro spalle esplodevano i fuochi dei disordini, hanno avuto presto nome, cognome e, come se non bastasse, un bel commento dei parenti. «L’intelligenza collettiva – conclude il New York Times – rende la sfera pubblica più pubblica di sempre ed espone frammenti di vita molto privata». Fine dell’anonimato, quindi?

L’identità smascherata della gay girl di Damasco, all’anagrafe Tom MacMaster, farebbe presupporre di sì, ma è altrettanto vero che accanto ai detrattori dell’anonimia esiste chi si batte per  promuoverla. Si tratta, soprattutto, delle comunità di attivisti tra le quali la più nota è, per l’appunto, “Anonymous”. Gli attivisti sono promotori di uno dei principi cardine della cultura hacker: il divertimento. Il loro motto è la massima dell’anarchico Bakunin: «Una risata vi seppellirà». L’anonimato è, in questa chiave, la forma più libera d’espressione, la sola via per agire senza paletti sociali, divertendosi.

«Anonimato significa autenticità. Perché permette alle persone di condividere nella maniera più schietta, totalmente priva di vernice». Christopher Moot Poole, CEO di 4chan, piattaforma intorno alla quale si è ritrovata la comunità hacker, spiega così il valore dell’anonimia. «Sfuggire all’identificazione permette di commettere errori in tutta libertà». Lo stesso principio caratterizza in Italia il social network WeMask, il cui motto è: «Su la maschera!». Perché solo celando la personalità quotidiana possiamo esprimere la creatività più viscerale. L’assenza di identità porta con sé quella delle regole. Senza nome e senza norma. L’anonimato è, quindi, una prassi di ridefinizione della propria personalità, nell’accezione di Heidegger: l’esistenza inautentica, uno stato di neutralità in cui l’uomo perde ogni caratteristica, e, attraverso l’angoscia della privazione, torna a essere autentico.  Nel web avviene un simile processo di perdita.

La rete è priva delle coordinate spazio temporali, tutto è simultaneo e in divenire. In queste condizioni perde senso l’idea classica di identità psicologica. Esiste un io multiplo, le cui declinazioni sono vissute in modo contemporaneo. Fornire le proprie generalità non è più un’operazione di svelamento, perché raccontare un io significherebbe celare gli altri. La società digitale è strutturata per grumi di valore ed è intorno a quelli che si creano le identità. Per capire chi è una persona contano le parole chiave, i percorsi di navigazione, la tag cloud dei desideri.

In rete l’autenticità è come la descrive Agrado, la trans del film di Pedro Almodovar Tutto su mia madre: «Occhi a mandorla 80mila, tette, due, e le ho già ammortizzate. Naso, fronte, zigomi, fianchi… Costa molto essere autentiche, ma non bisogna essere tirchie, perché una è più autentica quanto più assomiglia all’idea che ha di se stessa». Altro che assenza. L’anonimato in rete è pluralità di desideri.

RIVOLUZIONE YOUTUBER

di Andrea Amato e Matteo Maffucci 14€ Acquista
Articolo Precedente

L’isola degli escort: ecco il nuovo Saturno

next
Articolo Successivo

Fregene, dove il pubblico non è un bene comune

next