Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha invitato i magistrati a “evitare condotte che creino indebita confusione di ruoli e fomentino l’ormai intollerabile, sterile scontro tra politica e magistratura”. Su queste parole pronunciate all’indomani dell’arresto del deputato Alfonso Papa (Pdl), autorizzato dalla Camera, all’indomani del non arresto del senatore Alberto Tedesco (ex Pd) votato da Palazzo Madama, all’indomani delle notizie che riguardano Filippo Penati (Pd) indagato per tangenti a Milano, ci permettiamo di porre alcune domande che hanno il solo scopo di non incorrere in errate interpretazioni e meno che mai intendono tirare, come si dice, per la giacchetta l’inquilino del Colle.

La frase riportata pone l’accento sulle “condotte” dei magistrati, quasi fossero essi i maggiori responsabili dell’“intollerabile, sterile scontro” con la politica. È così? E quanto alle condotte della politica da evitare (le più disdicevoli quali la corruzione e l’associazione per delinquere oggetto delle indagini in questione) saranno affrontate in un intervento successivo del Quirinale? Tra le “condotte” da evitare ce ne sono di riscontrabili negli atti delle procure relativi ai succitati casi Papa, Tedesco, Penati? Oppure quello del capo dello Stato è un monito che solo casualmente si lega con la stretta attualità giudiziaria?

Infine, quando Napolitano chiede ai magistrati “di calare le proprie decisioni nella realtà del Paese, facendosi carico delle ansie quotidiane e delle aspettative della collettività” come tutto ciò può conciliarsi con l’articolo 101 della Costituzione secondo cui i giudici sono soggetti soltanto alla legge e con l’articolo 112 sull’obbligo dell’azione penale dei pm? E dove di ansie e aspettative non v’è menzione alcuna?

Il Fatto Quotidiano, 22 luglio 2011

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