La rete e il potere della ‘ndrangheta, il ruolo delle cosche nel narcotraffico internazionale, il rapporto con la mafia siciliana, gli accordi tra la mafia calabrese e il cartello messicano dei  Los Zetas e quelli colombiani che controllano il traffico di cocaina verso l’Europa. Questa in sintesi l’operazione “Crimine 3”, condotta dai carabinieri del comando provinciale e dai Ros, su ordine della procura di Reggio Calabria, coordinata dal procuratore capo Giuseppe Pignatone e dagli aggiunti Nicola Gratteri e Michele Prestipino, dai sostituti Marialuisa Miranda e Gianni Musarò, che ha portato in manette 45 persone, altre dieci risultano indagate. Arresti in Lombardia, Lazio, Calabria, Olanda e Spagna, Stati Uniti, una retata frutto del lavoro congiunto degli investigatori italiani e stranieri.

“Questa è una delle poche indagini da manuale – ha spiegato Gratteri – che può essere utilizzata nelle scuole di polizia per dire come si fanno le indagini di droga e come ci si rapporta con le forze di polizia di altri Stati che hanno mentalità e codici diversi”. Una indagine iniziata nel 2008 (con la prima operazione Solare) e con successivi sequestri di ingenti quantitativi di stupefacenti. Crimine 3 rappresenta la terza tappa dell’inchiesta che aveva visto il suo primo sbocco investigativo nel luglio scorso, grazie alla sinergia della Procura di Milano e Reggio Calabria che aveva coinvolto 300 persone.

Tra gli esponenti raggiunti da ordine di cattura, nell’operazione odierna, anche Domenico Oppedisano, già arrestato nel luglio dello scorso anno, e ritenuto “capo crimine dell’associazione ‘ndrangheta”. Don Mico era sempre pronto anche ad appianare, in forza del suo ruolo supremo, i dissidi tra vari esponenti delle ‘ndrine. “Una ‘ndrangheta – scrive il Gip Domenico Santoro – proiettata sullo scacchiere mondiale del narcotraffico, che è riuscita ad intessere stretti contatti con altre organizzazioni criminose, dalla mafia turca ai cartelli sudamericani in genere, che le hanno permesso di assurgere ad una sorta di primazia nel traffico internazionale degli stupefacenti”.

L’organizzazione aveva uno schema consolidato dal fornitore all’acquirente. La struttura prevedeva continue interazioni con i gruppi colombiani e messicani, per il tramite di veri e propri broker, come Vincenzo Roccisano, vicini alla ‘ndrangheta, che seguivano le operazioni e la vendita della droga che partiva dal Sud America, Colombia e Venezuela, e arrivava in Spagna (oppure Olanda), e tramite corriere veniva portata in Italia. Le ‘ndrine coinvolte si federavano per raggiungere il comune obiettivo, una sorta di associazione temporanea di imprese , tra le ‘ndrine della fascia tirrenica e jonica: Pesce, Commisso, Jerinò, Aquino. Un ruolo veniva ricoperto anche da alcuni soggetti riconducibili alla mafia siciliana, vicini alla famiglia di Cosa Nostra di Carini, e in costante rapporto con gli uomini dell’asse Calabra-Sud-America.

Sotto l’egida del clan Pesce, nel settembre 2009, carichi di droga provenienti dall’Equador, venivano dirottati anche verso il porto di Gioia Tauro, destinati ad una impresa locale la Diamante Fruit. I titolari di queste aziende incrociano le inchieste giudiziarie su Fondi e sul clan dei Casalesi, attraverso intrecci societari. “Per quanto attiene – si legge nell’ordinanza – al consorzio Italgood di Fondi diversi riscontri appaiono degni di considerazione, in quanto attraverso gli stessi si perviene alla focalizzazione di un contesto storico-mafioso, nel quale emerge la ditta di Acireale facente capo ai fratelli Grasso (oggi Diamante Fruit), individuata committente e destinataria di carici di frutta sequestrati da questo Ros a novembre 2009 presso il porto di Gioia e dove erano dissimulati ingenti quantitativi di cocaina”.

Giuseppe Andrea Grasso, rappresentante legale della Diamante Fruit, coinvolta nell’inchiesta suo malgrado, per quanto emerso dalle risultanze processuali, è stato assolto per non aver commesso il fatto dal Tribunale di Locri con sentenza del 10 giugno 2015, passata in giudicato.

Società e coperture ad alti livelli, tanto che il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso ha precisato che misteriosi restano molti flussi finanziari ‘perché ci sono circuiti separati, protezioni o sistemi che godono di particolari condizioni internazionali’. Un giro di miliardi di euro, quello della droga, in gran parte ignoto alle forze inquirenti. Il mediterraneo ormai è controllato, “ma il problema – ha spiegato Nicola Gratteri – è quando le navi arrivano nei porti del nord Europa o sulle coste spagnole’. Secondo il magistrato calabrese si riesce ad intercettare solo un decimo della cocaina che transita e arriva in Europa.

Aggiornato dalla redazione web il 13 novembre 2015

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