È arrivata ieri la prima delle risposte da parte dei Commissari Agcom alle dieci domande che ho loro rivolto su Wired nei giorni scorsi.

È quella dell’On. Enzo Savarese al quale, solo per questo, non ci si può esimere dal rivolgere un ringraziamento.

In effetti, il Commissario non risponde alle domande, ritenendo che non sia “questa la sede per confrontarci su un tema caldo,e soggetto a consultazione pubblica “. Condivido, non è una mail né un articolo di giornale la sede per un confronto su una questione tanto delicata quanto l’individuazione di un giusto contemperamento tra i diritti patrimoniali (perchè è “solo” di soldi che parliamo) d’autore di un manipolo di vecchie (salvo poche eccezioni) industrie e le libertà fondamentali dei cittadini e utenti della Rete. La “sede” avrebbe dovuto essere e, a ben vedere, resta il Parlamento come accade in ogni Paese democratico allorquando si tratta di dettare regole di convivenza che abbiano un impatto tanto rilevante sulla società.

Non è stata la Rete nè – occorre riconoscerlo – l’Agcom a scegliere che questa partita, in Italia – e solo in Italia – si giocasse, invece, al riparo da sguardi indiscreti, prima nelle stanze del Ministro – all’epoca viceministro Paolo Romani – e poi in quelle dell’Autorità Garante per le Comunicazioni.

E allora in quale sede se non via mail, se non on line, se non nello spazio pubblico per eccellenza chiedere ai Commissari Agcom se ritengono di aver ben ponderato una scelta di governance tanto delicata per il futuro del Paese? Se hanno tenuto conto del fatto che mentre i costi del sistema di antipirateria ideato sono una certezza e saranno distribuiti tra tutti i cittadini, i risultati, tra l’altro proprio in termini economici, saranno modesti, ammesso anche che vi saranno? In quale altra sede chiedere loro su quali basi hanno ritenuto che l’attuale disciplina che attribuisce all’Autorità giudiziaria ordinaria ed in particolare alle sezione specializzate di proprietà intellettuale gli stessi identici poteri che Agcom oggi rivendica, sia insufficiente o inadeguata a tutelare i diritti dell’industria televisiva e di quella dell’audiovisivo?

Come fare per comprendere se ed in che termini l’Autorità si è interrogata sulla sostenibilità costituzionale di una disciplina che prevede che un contenuto prodotto da un utente e da questi reso accessibile a centinaia di milioni di cittadini in tutto il mondo possa essere rimosso dallo spazio pubblico telematico senza che quest’ultimo ne sappia nulla e senza che sia posto nella condizione di difendere la legittimità del proprio operato dinanzi ad un giudice terzo ed imparziale e, soprattutto, nell’ambito di un procedimento che inizi con una contestazione documentata, circoscritta e fondata su un solido supporto probatorio e che non si concluda prima che il destinatario della contestazione abbia avuto tempo e modo di illustrare le proprie difese?

La sensazione – ed il silenzio dei Commissari Agcom alle dieci domande sembra confermarlo – è che l’Autorità, sfortunatamente, non si sia sin qui posta alcuna delle dieci domande ma si sia piuttosto limitata a recepire le indicazioni ed istanze – peraltro approssimative e poco documentate – ricevute dai rappresentanti dell’industria audiovisiva e televisiva.
Ecco quanto mi scrive l’On. Savarese in un altro passaggio della sua mail: “Veda, Professore, c’è un detto americano ‘There is not such a thing like a free beer’ ovvero le gratuità da qualche parte devono trovare il giusto corrispettivo. Onestamente non credo che la pirateria, informatica o dei vu cumprà che vendono dvd taroccati, abbia molto a che spartire con la sacrosanta libertà, fatte salve le ovvie cautele in difesa dei minori, del web.

Web, messaggero di conoscenza, informazione, cultura, intrattenimento, mezzo libero e che tale deve rimanere….ma…Le sembra giusto che la proprietà intellettuale, cinematografica, musicale non debba trovare, anche nel web, quella protezione che, Le ricordo, è perseguita con forza da Paesi di grande tradizione liberale, come gli Usa, la Francia etc.. senza censure preventive, naturalmente, ma anche senza lungaggini che metterebbero ancora più in crisi il già fragile equilibrio tra certezze e comportamenti illegittimi.

Caro Onorevole, la mia risposta alla sua domanda è naturalmente rappresentata da un chiaro, secco, fermo “no!, certamente no!” La proprietà intellettuale è sacrosanta anche e soprattutto in Rete, nella Società dell’informazione ma, il problema non è questo, il problema non è liberalizzare o legalizzare la pirateria.

Il problema è non perdere mai di vista, quando ci si occupa di diritto d’autore online come off-line, due principi semplici ma fondamentali per il futuro nostro e delle generazioni che verranno: (a) lo scopo ultimo della disciplina sulla proprietà intellettuale non è rendere i ricchi più ricchi o quello di garantire anacronistici modelli di business ma, piuttosto, quello di massimizzare la creazione e circolazione del patrimonio culturale globale e (b) il diritto d’autore è un diritto di pari rango rispetto a decine di altri diritti e libertà fondamentali di utenti e cittadini, tra i quali, mi permetto di ricordare quello ad un giusto processo, quello alla privacy e, naturalmente, la libertà di parola.

È sulle modalità attraverso le quali l’Agcom sta per decidere di tutelare la proprietà intellettuale che le nostre strade si dividono e non sull’opportunità di farlo.”Se superiamo posizioni preconcette – conclude l’On. Savarese – forse da ambo le parti,sono però fiducioso che l’obbiettivo di coniugare libertà e diritti non sia una araba fenice ma una concreta soluzione“. Ne sono convinto anche io. Per superare le posizioni preconcette, tuttavia, servono dati, informazioni, elementi certi, sicuri ed incontrovertibili ed occorre, soprattutto equilibrio e, per ora, nessuno di questi elementi è sul tavolo. Sono convinto che la Rete sia pronta a fare la sua parte, ad abbassare i toni del confronto ed a riconosce ai titolari dei diritti ciò che loro compete.

Ma i titolari dei diritti? Siamo sicuri che siano disponibili a fare altrettanto? Sono pronti a rinunciare al perverso sistema delle finestre temporali in forza del quale pretendono di decidere come e quando un utente debba fruire di un contenuto? Sono pronti ad accettare l’idea che dal riuso di qualche bit della loro musica o dei loro video in Rete, per scopi informativi, satirici o amatoriali, non hanno niente da perdere e tanto da guadagnare? Francamente ne dubito ma sarei davvero lieto di sbagliarmi. Cerchiamola, dunque, questa soluzione condivisa. Proseguiamo il dialogo in ogni sede. Non rinunciamo al confronto.

Sarebbe bello, Onorevole Savarese, se Lei ed i suoi colleghi, tutti, prendeste parte allanotte della Rete per confrontarci e provare, un’ultima volta, a capirci prima che il 6 l’Autorità si trovi ad adottare una delibera che è destinata a rappresentare – lo scrivo con grande serenità ed obiettività – una delle pagine più buie della storia moderna della proprietà intellettuale, una pagina nella quale in nome dei soli interessi economici si violenta una delle discipline più preziose del nostro Ordinamento, quella che dovrebbe garantire a tutti l’accesso all’informazione, alla cultura ed all’intrattenimento.

Egregio Onorevole, non si assuma questa responsabilità, faccia come il suo collega D’Angelo ed inviti i vostri colleghi a fare altrettanto. Vi aspettiamo.

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