Tutto in pochi giorni: alla fine di questa settimana Giulio Tremonti sarà l’uomo più potente del governo, il vero capo, oppure un ministro dimezzato, un dead man walking (politicamente parlando) che può dimettersi o restare da mero esecutore delle volontà di Silvio Berlusconi e della Lega. Già ieri si sono rincorse le voci di un possibile abbandono del titolare di via XX Settembre. E oggi al vertice di maggioranza con il premier e Umberto Bossi, Tremonti potrebbe minacciare le dimissioni se le richieste dovessero mettere a rischio la tenuta dei conti pubblici. La manovra è necessaria e il tributarista vuole avere mani libere e rinnovata fiducia dall’esecutivo. Sempre che, nel frattempo, i mercati finanziari non abbiano fatto esplodere la situazione. Andiamo con ordine.

I due principali collaboratori di Giulio Tremonti, Marco Milanese (da domenica ex consigliere politico) e Manuela Bravi (compagna di Milanese e portavoce del ministro) sono tra i protagonisti dell’inchiesta P4, nel ruolo di grandi accusatori dei vertici della Finanza che avrebbero fatto sapere a Luigi Bisignani di avere il telefono intercettato. Proprio l’ostilità dichiarata – nei verbali delle intercettazioni – dal faccendiere indagato dalla Procura di Napoli è il miglior biglietto da visita di Tremonti, almeno nei confronti di Silvio Berlusconi. Visto che altri ministri – come Stefania Prestigiacomo, Franco Frattini e Mariastella Gelmini – al telefono si sono rivelati meno fedeli di quanto credeva il Cavaliere. Però rischia di non bastare per vincere le tre partite che sta giocando Tremonti.

La prima è la manovra da 40-47 miliardi che arriverà giovedì in Consiglio dei ministri. Il sottosegretario Guido Crosetto (Pdl) ha parlato domenica di “manovra da psichiatria”, poi ieri si è vantato di aver “ricevuto centinaia di telefonate, messaggi e mail da artigiani, commercianti e industriali, ma anche da colleghi parlamentari di tutti gli schieramenti”. Mezzo governo ha parlato di una presa di posizione individuale, ma è evidente che la manovra tanto a lungo negata ora rischia di sfasciare la maggioranza, a cominciare dalla Lega che spera di vedere accolte alcune delle richieste formulate a Pontida (non è chiaro quali).

Il compromesso con i leghisti di Umberto Bossi si cercherà oggi in un vertice a Palazzo Grazioli, ma di margini per evitare la mazzata ce ne sono pochi: aumento dell’età pensionabile per le donne nel settore privato, tagli ai trasferimenti agli enti locali e alla sanità, qualche altro taglio ai ministeri. I mercati finanziari sono nervosi, gli investitori stanno perdendo fiducia nelle capacità di Tremonti di riuscire ad arginare Berlusconi e nel suo disperato tentativo di usare il bilancio pubblico per ritrovare consenso.

Ieri il segnale è arrivato chiaro e molto preoccupante per il Tesoro: i Btp italiani e bund tedeschi omologhi si è allargato al livello record di 222 punti base (cioè 2,2 per cento, segnale che i mercati sono sempre più scettici sulla capacità dell’Italia di sostenere il suo enorme debito). Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, ha chiarito ieri: “È un problema enorme. Con il nostro debito ogni 100 punti base a regime si traducono in 16 miliardi di euro in più di deficit”. Ma al governo questo sembra interessare poco, anche se il Tesoro deve emettere 40 miliardi di euro di debito soltanto durante l’estate.

C’è da sperare – anche se è improbabile – che i mercati non abbiano letto la bozza di riforma fiscale che Tremonti è costretto a presentare per rendere digeribile la manovra a Berlusconi, che dei mercati si interessa poco. Riduzione a tre delle aliquote Irpef – 20, 30 e 40 per cento – compensato da un aumento del’Iva su alcuni beni (da 10 a 11 per cento e da 20 a 21 per cento), oltre a una serie di promesse chiaramente impossibili da mantenere come l’abolizione dell’Irap dal 2014, un’imposta che genera un gettito da 40 miliardi all’anno.

La Banca d’Italia chiedeva un alleggerimento del carico fiscale per i lavoratori dipendenti, invece Tre-monti farà un regalo ai più ricchi. Nens, il centro studi di Vincenzo Visco, ha già calcolato che con tre aliquote chi guadagna 9 mila euro all’anno risparmia 270 euro, chi ne guadagna 15 mila ne salva 450. Mentre il grosso dei lavoratori dipendenti, che stanno tra 15 e 28 mila praticamente non risparmiano nulla, a differenza di chi sta sopra i 75 mila che ne risparmia 2.420 (chi arriva a 100 mila risparmia addirittura 3.170 euro). Senza contare che per i più poveri il risparmio verrà mangiato quasi tutto dall’Iva.

Tremonti sa che si muove su un filo, i mercati o i nemici della maggioranza possono buttarlo di sotto con facilità. Però sa anche che se vince la partita sulla Banca d’Italia tutto potrebbe ribaltarsi: per la successione di Mario Draghi il ministro sostiene il suo direttore generale Vittorio Grilli, contro il direttore generale di via Nazionale Fabrizio Saccomanni. La scelta spetta al governo, chiesto un parere al consiglio superiore della Banca d’Italia, la firma è del Quirinale. Se Tremonti riuscisse a imporre il suo uomo, dopo aver fatto lo stesso alla Consob con Giuseppe Vegas, all’improvviso sembrerebbe molto meno assediato e più proattivo. Certo, la nomina di Grilli sarebbe vissuta dentro la Banca d’Italia come un colpo micidiale all’indipendenza di via Nazionale dal governo. Ma in questo momento Tremonti non si preoccupa di fare prigionieri.

da Il Fatto Quotidiano del 28 giugno 2011

Aggiornato alle 9.49 dalla redazione web

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