In quale democrazia occidentale fondata sullo Stato di diritto potrebbe accadere che un signore già condannato con sentenza definitiva per una maxitangente stratosferica, clou di Tangentopoli, a distanza di 17 anni continui ad essere il regista occulto di una macchina da guerra istituzionale finalizzata all’inquinamento, alla manipolazione, alla gestione di notizie coperte da segreto? Dalle carte dell’inchiesta sulla P4 che ha portato al suo arresto e alla richiesta dell’autorizzazione all’arresto del suo sodale, il magistrato ora deputato Pdl Alfredo Papa, inquisito per concussione, emerge un modo di operare molto simile a quello utilizzato da Gelli e dalla P2, a cui Bisignani era iscritto con la qualifica di reclutatore. La procura inquirente definisce così la peculiarità delle loro tentacolari attività: “Dal gossip ai ricatti, erano diventati mercanti in nero di notizie riservate”.

E anche questa volta il procuratore capo di Napoli è dovuto intervenire per difendere i pm dagli attacchi politici, precisando che l’inchiesta è seria, la mole probatoria è imponente con oltre 100 testimoni, foto, intercettazioni e che la procura ha fatto ricorso contro la decisione del Gip di escludere per gli inquisiti l’imputazione di associazione a delinquere.

Il profilo più puntuale dell’“uomo che collega” l’aveva tracciato, quando ancora il suo arresto era molto lontano e il suo coinvolgimento giudiziario nell’inchiesta sulla P4 tutt’altro che ufficiale, Gianni Barbacetto sulle pagine del Fatto. Un attivismo ininterrotto nel cuore delle istituzioni, fondato già negli anni ’90 sui rapporti privilegiati con lo Ior di Marcinkus dove fa transitare e ripulisce cifre mirabolanti, come ci ha raccontato Gian Luigi Nuzzi in Vaticano S.p.A., sospeso solo da una breve latitanza, nell’incalzare di Mani Pulite. I pm milanesi a causa degli impenetrabili silenzi vaticani riescono ad individuare solo una parte dei fondi neri manovrati da Bisignani e della tangente Enimont: i 62 miliardi del conto cifrato Omissis di cui risulterà titolare Giulio Andreotti, rimangono occultati e spariscono; 1,8 miliardi transita sul conto di Bisignani.

Facendo un salto di molti anni al luglio del 2007 in piena Why Not, inchiesta difficile e ostacolata con ogni mezzo su una rete affaristico-politica che coinvolge servizi ai massimi livelli, magistrati infedeli, faccendieri in permanente contatto con i vertici di molte istituzioni e che si dirama da Roma a Catanzaro, si assiste a delle singolari coincidenze. Come, per esempio, l’accelerazione dell’ispezione già in corso a Catanzaro a carico di Luigi De Magistris, fino alla sottrazione dell’inchiesta con un’avocazione anomala e al procedimento cautelare d’urgenza chiesto dal ministro (indagato) Clemente Mastella: il tutto a ridosso della perquisizione negli uffici di Luigi Bisignani. E, guarda caso, allora al ministero della giustizia nominato da Castelli e riconfermato puntualmente da Mastella c’è pure Alfonso Papa, tra l’altro referente per gli appalti, come ha ricordato Luigi De Magistris anche a L’Infedele, mentre a capo degli ispettori c’è Arcibaldo Miller, già attivissimo contro Colombo e la Boccassini, e di lì a poco onnipresente nella cupola della P3.

La convinzione di De Magistris, avvalorata ora dagli sviluppi dell’inchiesta sulla P4, è che aver toccato il centro di potere occulto che faceva capo a Bisignani gli sia costatato lo scippo di Why Not con le note conseguenze, avallate purtroppo dal Csm, e che la perquisizione fondamentale per l’inchiesta negli uffici del faccendiere di Stato, sia andata a vuoto perché l’indagato fu prontamente avvertito.

Dalla P2, alla P3 dei “quattro sfigati” coordinati da Dell’Utri per condizionare persino la Consulta, dalla Cricca di Bertolaso, Balducci e Verdini fino al vertice della P4, da dove sempre con molta discrezione “consiglia” il plotone delle ministre “per meriti extracurriculari”, aiuta Masi a liberarsi di Santoro, e soprattutto informa in tempo reale gli interessati delle indagini che li riguardano: in primis Gianni Letta, interlocutore principe di Bisignani, plenipotenziario berlusconiano, nonché “uomo di Stato”, secondo la vulgata bipartisan. L’incauto Veltroni disse persino che Gianni Letta è l’uomo che qualsiasi presidente del Consiglio aspirerebbe ad avere nel proprio governo e delegò il fido Bettini a mantenere con lui un canale di dialogo costante tra Pd e Pdl.

Chissà se quanto sta emergendo dall’inchiesta di Napoli ed il contemporaneo disfacimento di un governo che ha consolidato il potere mai appannato di personaggi che hanno infestato ininterrottamente le istituzioni, basteranno a persuadere anche gli estimatori e frequentatori a “sinistra”, D’Alema primo fra tutti, che la loro stagione sta finalmente volgendo al termine.

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