dale farmFa strano mettere piede in un accampamento gipsy e non vedere facce di etnia rom in giro. A Dale Farm, nell’Essex – forse il più grosso accampamento zingaro del Regno Unito – la maggior parte delle 96 famiglie è di origine irlandese: cattolici devoti, tutti capelli rossi e lentiggini.

In fondo, è come se in Italia ci fosse un campo nomadi composto per lo più da Svizzeri o Austriaci, se ci pensate.

Attivo dagli anni ’60, una buona metà del campo si è sviluppata abusivamente nel corso dell’ultimo decennio. L’interno delle roulottes, popolato da icone di santi e madonne, croci e rosari, è lindo da fare paura. All’esterno, mobili e divani bucati sono ammonticchiati gli uni su gli altri, tra filo spinato e rifiuti.

Le quasi mille persone che vi risiedono aspettano da un momento all’altro una notifica di sfratto da parte del vicino comune di Basildon: da allora, avranno solo 28 giorni di tempo per trovare un’altra sistemazione.

Come si intuisce visitando l’accampamento, i residenti hanno tuttavia intenzione di lottare, e di restare. “We won’t go” recita il cartello posto all’entrata di Dale Farm, a metà fra un fortilizio e una discarica. Tutt’intorno, i bambini giocano fra le pozzanghere e i copertoni di automobile, divertendosi a rincorrere i cani e a farsi fotografare nelle pose più creative.

Cattolici irlandesi o rom, i travellers nel Regno Unito sono all’incirca 300.000. Un’accezione, quella di “viaggiatori”, che nasconde un certo romanticismo di fondo. “Nonostante abitiamo qui da anni, abbiamo fissa dimora e una famiglia numerosa, ci sentiamo ancora nomadi,” confessa Shannon, 50 anni, di cui 9 vissuti a Dale Farm.

E’ stato calcolato che lo sfratto dei gipsies costerà ai contribuenti del piccolo council di Basildon più di 10 milioni di sterline. “Questo è quello che succede se si tollera l’illegalità per un decennio: sono fuorilegge, non pagano le tasse, non possono stare qui,” si sfoga un residente della zona che ha visto la sua abitazione deprezzarsi del 20% nel corso degli anni.

La sua posizione riflette quella del consigliere Tony Ball, portabandiera conservatore nella lotta locale contro i “nomadi insediati” illegalmente.

Oltre un quinto dei travellers inglesi vive ancora abusivamente su terreni destinati ad altri usi. E’ proprio questo il caso di Dale Farm: costruito su quella che viene chiamata green belt, la cintura verde, col tempo si è espanso per via dell’afflusso di quelle famiglie rimaste senza dimora dopo che i consigli comunali locali hanno iniziato a chiudere i siti di campeggio pubblici.

La terra acquistata dai nomadi sarebbe quindi parte di un’area protetta in cui l’edificazione è vietata da apposite leggi che controllano l’espansione dell’agglomerato urbano. I nomadi, per parte loro, sostengono di dimorare su una fascia di terreno a costruzione consentita chiamata brown belt: “Abbiamo le prove,” dicono, “e le porteremo in tribunale”.

Con le nuove politiche sociali introdotte dal governo a maggioranza conservatore, il vento sembra ora essere cambiato per le popolazioni nomadi. La ricorrenza del Gypsy History Month, istituita da Blair nel 2007, ha conosciuto i tagli draconiani della coalizione; il fondo speciale per i campi nomadi, che dotava di £96 milioni le autorità locali per fronteggiare il problema, è stato terminato, così come la Regional Spatial Strategy, che imponeva ai consigli comunali di soddisfare il bisogno di terra delle comunità gipsies.

Una carta di devoluzione introdotta lo scorso dicembre chiamata Localism Bill ha aumentato i poteri delle autorità locali, consentendo loro di allocare i bisognosi in case popolari per un periodo di tempo pre-fissato (un minimo di due anni), scaduto il quale il nucleo familiare è tenuto a fare posto ad altri se la sua situazione economica è migliorata.

Alcuni studi dimostrano tuttavia che sebbene il piano favorisca un ricambio fra quelle 44.000 famiglie senza tetto in Gran Bretagna (+10% rispetto allo scorso anno), la conseguenza più probabile sarà un sensibile aumento degli sfratti (e, di conseguenza, della povertà di strada): sarà difficile infatti per i nuclei familiari migliorare la propria condizione finanziaria in un così esiguo periodo di tempo.

Un giornalista rumeno osservava dalle pagine dell’Independent che dando alle comunità locali il potere di decidere a chi spetta vivere nella zona, la monocultura pre-esistente (inglese, benestante e middle-class) difficilmente permetterà l’insediamento di culture diverse dalla propria.

Inoltre, tutti coloro che rifiuteranno una sistemazione offerta dal local council potrebbero essere esclusi dalle liste per dei benefici assistenziali. E sarà difficile convincere i travellers di Dale Farm a trasferirsi in vere e proprie abitazioni.

“Questo è il nostro stile di vita. Nonostante le nostre figlie vanno a scuola ogni giorno, le allontaniamo a sedici anni dalle tentazioni della città per farle sposare ai nostri uomini. Non andremo mai ad abitare in condomini popolari,” sostengono con convinzione le donne dell’accampamento di Dale Farm, “Non ci sentiamo a nostro agio confinate fra quattro mura, non possiamo controllare cosa succede intorno a noi, fra di noi. Ci sentiremmo in gabbia.”

Clicca qui per vedere il reportage fotografico fra i nomadi di Dale Farm.

Lillo Montalto Monella è un giornalista investigativo residente a Londra, fotografo a tempo perso. Dalle intersezioni fra il Belpaese e l’estero nascono gli articoli che animano le pagine del suo blog, il Monella.

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