Manifesto per Stefano Cucchi sui muri di Roma

“Ma quale caduta dalle scale, lui ha avuto un incontro di boxe… solo che lui era il sacco”. Così un detenuto nelle celle del tribunale di Roma descriveva Stefano Cucchi, poco prima di essere trasferito in carcere. Smentisce il giudice che ha condotto l’udienza di convalida, smentisce il medico che lo ha visitati, conferma invece l’ispettore di polizia penitenziaria che ha guidato il trasferimento di Cucchi in carcere. Non si è ancora chiarita la vicenda del giovane morto nell’ottobre 2009 – una settimana dopo l’arresto per droga – nella struttura di medicina protetta dell’ospedale Sandro Pertini di Roma. Oggi nella capitale, alla nuova udienza del processo, sei testimoni raccontano la loro versione: il medico che era in servizio alla città giudiziaria romana di piazzale Clodio, il magistrato che convalidò l’arresto di Cucchi e quattro agenti della polizia penitenziaria. Sono dodici gli imputati per la morte del ragazzo: i sei medici e tre inermieri che lo ebbero in cura e tre agenti della polizia penitenziaria. Devono rispondere a vario titolo di lesioni, abuso di autorità, favoreggiamento, abbandono d’incapace, abuso d’ufficio e falso ideologico.

Era l’ottobre del 2009 e Cucchi, arrestato per droga, l’indomani veniva portato in aula per l’udienza di convalida. “Ha risposto a tono a tutte le domande, non ha detto di essere stato percosso, né io ho avvertito nulla di anomalo”, è la versione del giudice Maria Inzitari. Che, a testimonianza delle sue parole, aggiunge: “Non ho disposto alcuna visita medica, né ricordo che in udienza qualcuno la chiese”. Eppure, nelle celle del tribunale di Roma, un medico aveva visitato Stefano Cucchi. Camminava con difficoltà, racconta ai magistrati Giovanni Battista Ferri, e si appoggiava al muro. “Fu lo stesso Cucchi a dirmi che aveva dolori alla base della schiena, nella zona sacrale, e alle gambe – spiega il medico -. Disse che il giorno prima era caduto scendendo dalle scale”. Il ragazzo avrebbe chiesto solo di avere un ansiolitico calmante, “che aiuta anche a sopportare meglio l’astinenza da droga”. “Era interessato solo a ricevere quel farmaco – si giustifica Ferri -. Io non posso obbligare nessuno a servirsi di me per proporre una soluzione al problema, se rifiuta il mio intervento, non posso certo obbligarlo”.

Una posizione diversa da quella di Antonio La Rosa, l’ispettore di polizia caposcorta che ha condotto Cucchi dal tribunale al carcere di Regina Coeli. “Sono anni che faccio questo lavoro – spiega – e capisco quando uno è pestato”. Il ragazzo, nei racconti del caposcorta, “camminava con passo lento, non poteva piegarsi, era sofferente”. Davanti alle scale del carcere avrebbe detto di avere difficoltà a salirle, “perché gli facevano male le gambe”. “Il suo volto era quello di una persona pestata – continua La Rosa -, aveva segni in faccia”. Stefano Cucchi, poi, era impaurito, racconta l’ispettore. “Mi disse che era la prima volta che andava in carcere – riferisce – e voleva sapere cosa accadeva. Cercai di tranquillizzarlo, dicendogli che non era come quello che si vede nei film”.

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