L’Italia ‘peggiore’ descritta dal ministro Renato Brunetta ha il bel volto di Katia Scannavini. Precaria con laurea in sociologia, master, dottorato di ricerca, inglese scritto e parlato con tanto di certificazione all’estero, che fa corsi serali come docente, anche qui, rigorosamente precaria, all’Università Roma Tre per 3700 euro lordi l’anno (che vedrà chissà quando) per portare gli studenti all’esame. Precaria a 36 anni e, soprattuto, all’ottavo mese di gravidanza in un’agenzia parastatale, Italia Lavoro spa. Una spa totalmente partecipata dal ministero dell’Economia e che svolge le proprie attività per conto del ministero del Lavoro, Salute e Politiche Sociali. Una precaria a 1400 euro al mese. “La mia prima figlia – racconta – nasce tra poche settimane e davanti a me la prospettiva certa di essere licenziata a dicembre”.

Katia ad Italia Lavoro ha già perso il posto quando era al sesto mese di gravidanza, lettera di licenziamento ai primi di aprile. Quando, soprattuto, firmò un appello di protesta con un’altra ventina di lavoratori con contratto a progetto. “Io e i miei colleghi – spiega – informavamo solo l’ente che a fronte di una collaborazione che da anni si strutturava come un vero e proprio lavoro subordinato, ci sembrava opportuno pensare a una negoziazione o anche un semplice chiarimento da parte dell’ufficio delle risorse umane“. Risposta della società? Una lettera di cessazione del contratto di lì a poche settimane. Senza troppe spiegazioni.

Verranno reintegrati, poi, un mese dopo, solo dopo che organizzarono una protesta durante un convegno in cui era ospite il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. Reinseriti, in fretta e furia (a progetto ovvio), con un sms. “Da lì è nato il nostro movimento di precari“, dice Katia a ilfattoquotidiano.it. Katia è una delle due ragazze che ieri al convegno sull’Innovazione a Roma con il ministro Brunetta ha chiesto  di poter intervenire “per chiedere, al ministro come innovare anche la Pubblica amministrazione anche in relazione alla gestione dei tanti precari che sono negli enti pubblici? Quali innovazioni, ad esempio, sono previste nella contrattualistica del lavoro?”. Intervento tra l’altro previsto da una scaletta di programma, visto che un relatore dal palco aveva detto, chiaramente, che erano previsti due interventi dal pubblico. Dunque per il ministro, nulla di improvvisato, nessun agguato.

“Sono figlia di un artigiano, papà meccanico, e mamma casalinga, che hanno fatto sacrifici enormi. Proprio – continua Katia – come quelli che va raccontando il ministro, quando commosso ricorda il padre venditore ambulante a Venezia, o lui che faceva il fotografo ai matrimoni per pagarsi gli studi. Ecco, io ho fatto: la baby sitter, la magazziniera, l’hostess nei supermercati, e questo già al liceo scientifico, già dai 14 anni”. Anche suo marito, Bruno, lavorava a Italia Lavoro, contratto anche lui scaduto da mesi dopo la firma sulla lettera appello. “Ora collaboro con l’Inail, contratto di due mesi, a luglio finisce tutto”. Bruno ha 37 anni, orfano del padre quando la mamma aveva solo 28 anni e due figli da crescere. “Ce l’ha fatta da sola, lavorando notte e giorno, ci ha fatto prendere la laurea, anche io ho un master, concorsi, conoscenza delle lingue e 1200 euro lorde al mese per due mesi, bel futuro nero”. I due giovani pagano 800 euro di affitto per 40 mq in periferia, a Montesacro. Sono precari di un ente che si occupa, come ha fatto Katia dal 2006, di inserire e salvaguardare i diritti della fasce deboli, come gli immigrati, gli over 50, i disabili. “Il ministro ci etichetta come ‘rappresentanti dei loro fallimenti’, io sono la rappresentante del fallimento delle politiche sul lavoro di questo governo“.

La donna ora deve scappare al corso preparto, ma abbiamo per lei un’ultima domanda, il nome che darà a sua figlia. “La chiameremo Lara, che significa conoscenza, vittoria, perché voglio sperare che mia figlia – conclude – possa crescere in un’Italia che dia più spazio alla meritocrazia“.

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