Giulio Tremonti ha un sogno: ritoccare verso l’alto l’Iva. Il ministro dell’Economia lo ripete da anni usando uno slogan consumato: “dalle persone alle cose”. L’ultima volta è successo sabato scorso a Santa Margherita Ligure, al convegno dei giovani imprenditori di Confindustria: “L’innalzamento delle aliquote Iva per trasferire la tassazione dalle persone alle cose, è una questione che dobbiamo studiare”, ha dichiarato Tremonti. Nulla di nuovo. Alla stessa idea il ministro aveva già dedicato un intero capitolo del “Libro bianco” sulla riforma fiscale nel dicembre 1994.

Ma è veramente possibile un aumento dell’Iva? “Innanzitutto bisognerebbe capire che cosa si vuole aumentare”, spiega il prof. Alessandro Santoro, docente di Scienza delle Finanze all’Università di Milano – Bicocca. “Alla fine vere proposte non sono mai circolate. Si fanno ipotesi, supposizioni, ogni tanto esce qualche pezzo di informazione, ma un piano concreto non si è mai visto”.

Attualmente in Italia sono in vigore tre aliquote Iva: una del 4% per gli alimentari e i beni di prima necessità, una del 10% per bar, ristoranti e servizi turistici e l’aliquota generale del 20% per tutti gli altri beni e servizi. “Spesso si è parlato di aumentare l’aliquota generale dal 20% al 21%, oppure di alzare le aliquote ridotte, o ancora di spostare alcuni beni e servizi da un’aliquota all’altra”, continua Santoro. “In realtà ognuno di questi interventi produrrebbe effetti diversi. In generale, comunque, si avrebbe un effetto redistributivo perverso, perché in proporzione sarebbero colpite maggiormente le classi a reddito più basso. E visto che l’Unione Europea ci vieta di creare nuove aliquote, applicando ad esempio un’Iva più alta sui beni di lusso, Tremonti dovrebbe intervenire sulle aliquote esistenti: aumenterebbero il gas, l’elettricità, le spese telefoniche. Una stangata per buona parte della popolazione”.

Un’altra ragione per cui l’aumento dell’Iva non sarebbe praticabile è l’aumento dell’evasione che probabilmente ne conseguirebbe. “Già oggi in Italia abbiamo un gravissimo problema di evasione dell’Iva”, spiega il prof. Santoro. “Se sarà aumentata l’aliquota potrebbe esserci un incentivo ancora maggiore ad evadere”.

Perché Tremonti ritorna allora sul tema dell’Iva? La risposta, a quanto sembra, è molto semplice: perché non ha altra scelta.

Messo sotto pressione da Berlusconi e perfino dal ministro degli Interni Roberto Maroni, che ieri ha chiesto “più coraggio” nella riforma fiscale, Tremonti si sente braccato. Sa che la riduzione delle tasse invocata dal premier come ultima possibilità per recuperare consensi può passare solo da un taglio dell’Irpef (Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche). Ma abbassare anche solo la prima aliquota Irpef di un punto percentuale (dall’attuale 23% al 22% per i redditi fino ai 15.000 euro) avrebbe un costo altissimo in termini di minore entrate per lo stato (almeno 10 miliardi di euro). E oggi Tremonti non ha margini di manovra. Il disavanzo pubblico è al limite e il debito ha raggiunto il suo massimo livello di sempre in termini assoluti: 1.890 miliardi di euro ad aprile in base ai dati pubblicati ieri da Bankitalia: 31.500 euro per ogni cittadino italiano, con un rapporto debito/PIL vicino al 120%. In una situazione del genere un eventuale abbassamento dell’Irpef può essere realizzato solo recuperando risorse da altre parti: per esempio aumentando l’Iva.

“La riforma fiscale si può fare, ma non in deficit”, continua a ripetere il ministro dell’Economia. In pratica non si possono abbassare le tasse creando nuovi debiti: bisogna per forza recuperare nuove risorse. Un discorso che non fa una piega, ma che non scalda i cuori dei colleghi del governo pronti per una nuova offensiva fiscale. E mentre sull’Iva si sono già levati gli scudi di Confartigianato e di altre categorie, a Tremonti non restano vie d’uscita, se non quella di toccare le cosiddette “agevolazioni”. “Dobbiamo togliere gli assegni a quelli che hanno i gipponi”, ha dichiarato ieri il ministro dell’Economia all’assemblea di Confartigianato. “C’è un enorme bacino da cui derivare risorse per fare la riforma fiscale e correggere l’andamento della finanza pubblica”.

E’ davvero così? “In realtà il 70% delle agevolazioni di cui parla Tremonti non sono privilegi come gli sgravi per chi possiede i SUV”, spiega il prof. Alessandro Santoro, “si tratta invece di meccanismi fondamentali di ridistribuzione del reddito: detrazioni per figli e coniugi a carico, detrazioni per i lavoratori dipendenti. Se venissero tagliate queste voci – per compensare un eventuale abbassamento dell’Irpef – si avrebbero effetti molto più perversi e imprevedibili rispetto a un aumento dell’Iva: a soffrire sarebbero, per esempio, milioni di nuclei familiari monoreddito”.

Tremonti è spalle al muro. Da una parte viene assalito dai compagni di coalizione e dall’altra si trova di fronte ai limiti del Patto di Stabilità che impongono regole severe per il controllo del bilancio pubblico. E le sue uscite sulle tasse manifestano una grande difficoltà politica. “Siamo alle chiacchiere”, ha dichiarato oggi Massimo Donadi, capogruppo IdV alla Camera. “Una manovra vera, seria di riduzione delle tasse non c’è”. E farne una “a saldo zero” (senza toccare altre voci) è impossibile. “Non si è mai visto al mondo”. In poche parole la maggioranza è in crisi, non ha idee e si rifugia, come ha fatto spesso, sulle tasse. Questa volta, però, il gioco potrebbe non funzionare.

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