La storia che sto per raccontarvi mi rende felice perchè moltissimi testimoni di giustizia italiani mi considerano loro alleata. Ma mi frustra profondamente, invece, perchè quegli stessi testimoni di giustizia italiani mi chiamano costantemente, e non per chiedermi come sto, ma per raccontarmi storie di ordinaria follia, vicende di abbandoni, di ripicche, di umiliazioni. Loro, orgoglio dell’Italia che resiste, denuncia e non molla, trattati come merce a breve scadenza, come mezzi per condannare i mafiosi e poi abbandonati accanto ai cassonetti dell’immondizia.

Vi chiedo, retoricamente, se avete mai sentito parlare della storia di Francesco Paolo. Domanda retorica appunto, perchè so già che purtroppo nessun Tg, giornale o sito internet vi ha mai raccontato la storia di questo testimone di giustizia di Mondragone (Caserta). E probabilmente mai lo faranno.

Francesco era un imprenditore nel settore lattiero-caseario, produceva ottime mozzarelle di bufala nel comune campano. Forse le avete anche mangiate, le sue mozzarelle: prodotti d’eccellenza premiati anche da Slow Food; la sua azienda si chiamava “Antico caseificio dei Mazzoni”.

Poi, un giorno, arriva una telefonata alla moglie di Francesco, Assunta: “Prepara 200 milioni per gli amici di Mondragone”. Era il clan La Torre, i Chiuovi, affiliati ai casalesi. E per Francesco, per la sua famiglia e per l’azienda è la fine. Si prende due giorni per riflettere e poi decide: collaborerà subito con i carabinieri. Presenta una denuncia e viene sentito direttamente dal pm anticamorra Raffaele Cantone, che lo incoraggia e gli garantisce il sostegno dello Stato.

Si decide di dare un appuntamento all’estortore, il 26 luglio 2001. L’uomo arriva, chiede quanto gli spetta e mentre sta per andare via viene arrestato con la busta con il denaro ancora in mano. La camorra scopre quindi che Francesco Paolo ha parlato, che ha denunciato, e dunque deve morire. Miracolosamente sfugge ad un progetto di morte quando, pochi giorno dopo, i carabinieri bloccano un’auto blindata con un gruppo di affiliati alla camorra muniti di molotov, mitra e bombe, che avevano come obiettivo la famiglia Paolo. La sentenza di morte era stata emessa e non prevedeva appelli.

Dopo l’attentato scampato, è lo stesso Cantone che consiglia a Francesco di lasciare momentaneamente la Campania, perchè il rischio è troppo alto ed è praticamente impossibile proteggerlo. Così diventa testimone di giustizia e il primo novembre 2001 parte con la sua famiglia per la località segreta; di fronte al caseificio, la camorra gli fa trovare cinque mazzi di crisantemi. Il messaggio è inequivocabile, come quando qualche giorno dopo alcuni estranei si presentano alla scuola del figlio, spacciandosi per parenti e chiedendo di vederlo. Per fortuna loro sono già lontani.

Per Francesco inizia una nuova vita, apre un’altra attività in località segreta e cerca di “rinascere”: sogna una vita nuova. Poi però si scontra con la Commissione Centrale di Protezione, con la sua miopia e con la sua inadeguata organizzazione.

Tra le tante mancanze e le molteplici umiliazioni, voglio soffermarmi qui su un gravissimo caso di superficialità che ha gettato sul lastrico Francesco Paolo e la sua famiglia. La Commissione, come si fa in questi casi, delibera l’acquisizione dei beni in loco del testimone da parte dello Stato al prezzo di mercato. La stessa nomina un commercialista e stima il valore dei suoi beni, dandogli anche un acconto. A quel punto Francesco, certo di ricominciare una nuova vita con gli introiti dell’acquisizione, capitalizza e firma per uscire dal programma di protezione per i testimoni di giustizia.

Dopo un anno l’amara sorpresa. Il Servizio di Protezione lo chiama dicendogli che c’era stato un “errore”, perchè l’ente preposto all’acquisizione non era lo stesso Servizio Centrale ma l’Agenzia del Demanio. Gli garantiscono che il valore rimarrà uguale, e invece il Demanio valuta il tutto circa un quarto rispetto al precedente valore di mercato. Lo chiamano “errore” rovinare la vita di un uomo.

In questi giorni gli stanno arrivando decine di cartelle esattoriali per il periodo in cui la famiglia Paolo era ancora sotto protezione; deve pagare tasse di un qualcosa che non ha prodotto reddito. A tal proposito urge sottolineare che il caseificio ovviamente non esiste più.

La Commissione, interpellata sulle cartelle, ha risposto che non è di sua competenza perchè oggi la famiglia risulta fuori dal programma. Tradotto nella nostra lingua, testualmente, vuol dire: “Arrangiatevi”. A corollare il tutto c’è il mancato riconoscimento del danno biologico, nessun mutuo agevolato, niente di niente insomma. Tutte promesse fatte e deliberate prima dell’uscita dal programma svanite come bolle di sapone.

So che stentate a credere a tutto ciò, ma prima di scrivere ho visionato direttamente le carte che Francesco Paolo mi ha fornito. E c’è solo una cosa ancora più triste di tutto ciò, ovvero quel che mi ha scritto lo stesso Francesco Paolo: “Gentile on. Alfano, non mi pento di aver denunciato un atto criminoso, ma mi pento di essermi fidato dello Stato”.

Lo Stato italiano, la Commissione centrale di Protezione, il ministero dell’Interno non possono, non devono permettere tutto ciò. Queste parole dovrebbero togliere il sonno a coloro che “gestiscono” i testimoni di giustizia, e invece nulla accade, nulla si muove.

Quando anche Francesco Paolo rinuncerà a lottare, sul tabellone della mafia segneranno un altro punto, e su quello dello Stato rimarrà sempre e soltanto uno zero.

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