Alla metà degli Anni Sessanta, la Francia del generale De Gaulle praticò, nella prima grave crisi dell’integrazione europea, ancora ai primi passi e ben più fragile di adesso, la politica della sedia vuota, disertando le riunioni della Cee tra giugno ‘65 e gennaio ’66 e impedendo, di fatto, l’adozione di decisioni da parte degli allora Sei, i Paesi fondatori. La crisi si risolse con il compromesso di Lussemburgo, che riportò la Francia al tavolo delle riunioni, ma in sostanza vincolò la Cee all’unanimità su qualsiasi materia, in caso d’asserito interesse nazionale da parte di uno Stato membro. Una situazione che si trascinò per 25 anni, fino al Trattato di Maastricht e alla nascita dell’Unione.

Oggi, l’Italia, con strategia meno lucida e forse meno conscia, applica la strategia della sedia mezza vuota. Alle riunioni del Consiglio dell’Ue ci va, ma i ministri stanno a casa e mandano i sottosegretari (e, talora, semplici diplomatici). Uno pensa: “Magari, sono riunioni dove non si discute nulla che ci interessi”. E, allora, andiamo a vedere quello che è successo nelle ultime 48 ore: a Lussemburgo s’è discusso d’immigrazione e di riforma delle regole di Schengen – richieste nostre, priorità italiane – e di giustizia – una priorità berlusconiana – e ancora di sicurezza nucleare e degli ‘stress tests’, proprio prima del referendum (e dopo che il governo aveva congelato ogni decisione in attesa di lumi dall’Europa). Bene, Maroni, Alfano e Sacconi non si sono visti: chi in extremis, chi per tempo, tutti e tre hanno fatto sapere di avere altro da fare. Al loro posto, Sonia Viale, Giacomo Caliendo, Stefano Saglia.

Intendiamoci: lo fanno un po’ tutti, mica sempre i ministri sono presenti. E’ vero, ma l’assenteismo (quasi) sistematico dei nostri ministri non ha eguali fra i Grandi dell’Ue. Hanno voglia i Saggi del Gruppo dei Dieci dell’Istituto Luigi Sturzo – mica una congrega di teste calde, diplomatici, esperti, eurocrati, coordinati da Flavio Mondello -, a raccomandare all’Italia di essere attiva e presente nei processi decisionali dell’Unione. Se no, poi, le regole le fanno gli altri e a noi tocca, o toccherebbe, rispettarle.

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